Il mosto, in cucina!
Il termine "mosto" non designa solo quel prodotto intermedio la cui fermentazione permette la successiva produzione di vino; pur avendo infatti la stessa natura e composizione la destinazione può essere differente. Vi sono piatti che lo contengono o che lo annoverano come ingrediente principale; il viaggio che ho appena iniziato con voi vi parlerà proprio di questo!
(Preparazione del vino cotto del Piceno) |
E' necessario prima di tutto ricordare che può assumere nomi differenti a seconda dei diversi territori.
Il "mosto cotto" è nella categoria dei prodotti agroalimentari italiani, riconosciuto su proposta di legge della regione Abruzzo. Si produce con l'uva che ha subito una surmaturazione, ovvero con una quantità di zuccheri superiore rispetto a quella richiesta per la vinificazione. Anticamente la cottura avveniva in paioli di rame o contenitori in terracotta (oggi sostituiti spesso da acciaio) e durava molte ore, a fuoco lento. Ancora oggi è affinato attraverso un invecchiamento che può durare fino a 24 mesi. Dopo questi processi acquista una consistenza simile a quella dell'olio ed un sapore particolarmente dolce.
La "saba" è un altro prodotto simile e molto conosciuto, è un condimento utilizzato da alcune regioni del Centro Italia ed in Sardegna. E' una sorta di sciroppo che si ottiene dal mosto d'uva appena fatto, è detta anche "mosto cotto", "vino cotto" o "miele d'uva". Ha un'origine molto antica che si fa risalire addirittura agli antichi Romani.
Altra variante è il "vincotto", presente in Puglia e Calabria indica il mosto fresco di uva cotto, prodotto sia a partire da uve rosse che bianche. Anche in questo caso la riduzione del mosto attraverso la cottura fa si che assuma la consistenza di uno sciroppo; è utilizzato nella preparazione di dolci e bevande. L'origine è antica e risale ai Romani; in funzione della sua concentrazione prendeva il nome di Sapa o Defrutto. Era anch'esso utilizzato come ingrediente vero e proprio in cucina oppure anche come dolcificante o per miscelare il vino puro (a cui era aggiunta acqua e aromi) per ottenere un prodotto meno alcolico e che si confacesse ai gusti dell'epoca.
Quali sono però gli impieghi culinari di queste preparazioni? Vi propongo qui di seguito alcuni esempi.
In Emilia Romagna, Lombardia e Veneto durante il periodo di vendemmia si prepara, aggiungendo al mosto cotto la farina, il "sugolo" o "sugol", un budino dalle origini antichissime. In origine si consumava così, senza zucchero, ma con la percentuale naturalmente presente e che derivava dall'uva. Poteva essere gustato da solo o come accompagnamento a dolci secchi.
In Puglia si preparano le "pittule" , frittelle che in realtà hanno numerosissime varianti, proposte in differenti ricorrenze e presenti anche in Calabria, Campania e Basilicata. Nel leccese, per esempio, si preparano in occasione dell'undici novembre, festa di San Martino, che coincide con la fine del periodo di fermentazione del mosto e l'arrivo del vino nuovo. Altri esempi sono i "taralli neri", i "mustazzoli" e le "cartellate", tipiche anche della Basilicata e preparate in occasione del Natale; sono presenti con altre varianti anche in Calabria. Queste ultime sono dei sottili strati di sfoglia di pasta semplice, avvolta su se stessa e fritta e, nella versione originale, vengono impregnate di vino cotto tiepido e ricoperte di cannella, zucchero a velo e mandorle.
(Cartellate cerignolane al vino cotto) |
In Calabria tipico è il "sanguinaccio dolce", la cui ricetta antica prevedeva, come elemento principe, il sangue di maiale che ora non viene più utilizzato per motivi sanitari, cioccolato fondente amaro, mosto d'uva cotto, noci e cannella.
Infine in Campania possiamo trovare i "mustaccioli", il cui nome è legato all'uso del mosto come dolcificante nelle ricette di matrice contadina o, in generale, povera.
Il mosto è quindi un prodotto che sa di antico e di tradizione. E' profondamente legato ai lavori della campagna, alla trasformazione dei suoi prodotti e, inevitabilmente, all'alternarsi delle stagioni. Un simbolo materiale e culturale di come la vinificazione non sia solo tecnica ma anche (o prima di tutto) storia e identità di interi territori e delle loro espressioni culinarie.
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