Zucchero tra storia e arte.
La storia dello zucchero e del suo utilizzo è un percorso avvincente, fatto di aspetti positivi e altri fortemente negativi; prima del suo avvento le pietanze venivano dolcificate in vari modi: miele, mosto cotto sono solo alcuni esempi che possono essere citati. Questo utilizzo di più sostanze che davano intensità differenti di dolce e aromi molto complessi deriva dalla moda medievale di mescolare i gusti creando sapori e proposte gastronomiche che oggi definiremmo alquanto azzardate.
Polinesia e Nuova Guinea furono i due centri dai quali si diffuse lo zucchero. In India si ritiene esistessero grandi coltivazioni, è proprio qui infatti che Alessandro il Grande conobbe questo prodotto.
La sua diffusione in Europa avvenne a partire dall'VIII secolo d.C. circa attraverso l'espansione araba. Sebbene vi furono vari tentativi di coltivazione essi risultarono poco soddisfacenti, tanto che due città come Venezia e Genova preferivano importarlo.
(Juan van der Hamen, Still Life with Sweets and Pottery, 1627, National Gallery of Art, Washington) |
Va ricordato che anche per i motivi sopra esposti il suo uso non era comune: i prezzi infatti erano alti, proprio per questo rientrava nella grande categoria delle spezie. A tal proposito era utilizzato per confezionare medicinali ed era ingrediente importante negli elettuari, sciroppi di natura medica costituiti da erbe medicinali e zucchero nei quali quest'ultimo aveva la funzione di rendere meno sgradevole il preparato medico; nei Racconti di Canterbury, per esempio, si fa riferimento a questi composti.
Anche durante il Rinascimento quando il suo consumo aumentò, il nostro protagonista rimase un prodotto per ceti abbienti ed era quasi interamente importato. Il Portogallo fu, bisogna riconoscerlo, l'eccezione a tutto ciò perché in alcune aree era caratterizzato da un clima subtropicale adatto alla sua coltivazione. Proprio da questa terra Colombo portò semi e parti della canna da zucchero nelle Indie Occidentali. Lì la loro resa fu alta e nacque un vero e proprio nodo sociale collegato allo sfruttamento degli schiavi.
(Attribuito a John Rose, The Old Plantation, XVIII secolo, Abby Aldrich Rockefeller Folk Art Museum, Williamsburg, Virginia) |
(Illustrazione di mulino da zucchero, XVIII secolo) |
Va ricordato che, chiaramente, in un primo tempo non esisteva lo zucchero come lo conosciamo noi ora, ma i cosiddetti "pani di zucchero", blocchi cristallini che venivano resi polvere passandoli sopra una grattugia.
A dire la verità, molte zone italiane rimasero ancorate negli usi alle antiche tradizioni, utilizzando così, anche per esigenze pratiche o dovute all'ubicazione, dolcificanti differenti dal nostro protagonista.
Sotto alcuni aspetti, il successo di alcune bevande amare come il caffè e la cioccolata fu determinato anche dalla loro possibilità di essere dolcificate.
La sua successiva diffusione (anche, sul piano culturale, come conseguenza a quella delle bevande sopra citate), incentivò la produzione della pasticceria, determinando una grande affermazione del dessert.
(Willem Kalf, Natura morta con Nautilus e zuccheriera Ming, 1660, Madrid, Museo Thyssen- Bornemisza) |
Fu anche in conseguenza di ciò che nacque e si diffuse il cosiddetto "cuoco pasticcere", che fece conoscere la propria arte anche nei secoli successivi.
Attualmente lo zucchero è sistematicamente associato, dal punto di vista alimentare e salutistico, ai consumi troppo elevati, soprattutto nella dieta dei più piccoli, con conseguenze nefaste sulla loro salute.
L'arte e, in misura minore, la letteratura, hanno documentato nel tempo la sua presenza nel sistema culturale e alimentare di molti Paesi, non solo nella rappresentazione di nature morte o dei cosiddetti "trionfi di zucchero", ma anche nell'arte che documenta il lavoro nelle piantagioni e lo sfruttamento degli schiavi. Un percorso che, se indagato, fornisce molte curiosità e informazioni sul rapporto tra i quadri e questa dolce materia prima: utilizzi, simbologie, aspetti positivi e negativi. Un mondo insomma che si apre sotto i nostri occhi e permette di conoscere meglio una parte della storia alimentare e, quindi, di noi.
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