Giovanni Pascoli e il cibo.
Giovanni Pascoli, figura di spicco della letteratura italiana, nacque a San Mauro di Romagna in provincia di Forlì il 31 dicembre 1855; ebbe una giovinezza duramente segnata dalla perdita del padre e da altri gravi lutti in famiglia che inevitabilmente ne influenzarono la vita e la produzione letteraria.
Da sempre il suo amore per la cucina e le tradizioni del territorio fu grande, una passione per la buona tavola, la compagnia ed i sapori genuini. Naturalmente tutto ciò traspare nei suoi componimenti che contengono rimandi a piatti, tradizioni, utensili o addirittura, in alcuni casi, contengono delle vere e proprie ricette; due esempi in tal senso sono le opere: "La piada" e "Il desinare".
I piatti impressi nella memoria dell'autore, presenti nella sua poetica e strettamente legati alla tradizione familiare e territoriale, sono colmi di ricordi d'infanzia saldamente legati col passato e, soprattutto, con persone che sono scomparse prematuramente dalla sua vita. Alcuni esempi di ciò sono le tagliatelle al ragù o le erbe di campagna cotte, da lui chiamate "ragazul", ma anche la piadina e i formaggi del territorio, la carne lessa ed il tanto amato pollo arrosto; non sono solo alimenti o pietanze ma il veicolo attraverso il quale passato e presente si congiungono nella memoria e nella vita dello scrittore, diventando temi importanti all'interno dei suoi lavori. Naturalmente non può mancare il pesce, presente ovviamente nelle preparazioni della propria terra in brodetto o fritto, ma anche il grande amore per i vini.
L'alimentazione tuttavia, come ho già accennato, è presente nella vita del nostro protagonista anche attraverso le sue opere che contengono non solo riferimenti al cibo, alle materie prime ed ai lavori connessi al mondo alimentare, ma anche vere e proprie indicazioni per eseguire piatti tipici. Un esempio significativo è fornito dalla ricetta del risotto scritta da Pascoli nel 1905 come risposta all'amico Augusto Guido Bianchi del Corriere della Sera. A seguito di un pranzo tra i due a base del goloso primo, il giornalista promise al poeta di inviargli la ricetta del piatto, ma lo fece sotto forma di versi; il poeta rispose con una versione corretta, sia stilisticamente e dal punto di vista grammaticale. Una preparazione particolare in realtà, sebbene infatti i due avessero parlato del risotto alla milanese, Pascoli inviò la ricetta del risotto "romagnolesco", un piatto particolare fatto dall'amata sorella in cui, oltre allo zafferano, venivano aggiunti altri prodotti. Il poeta inoltre, rimproverando all'amico di aver utilizzato nel suo componimento il futuro in modo eccessivo, così gli rispose:
Amico, ho letto il tuo risotto in ... ai!
E' buono assai, soltanto un po' futuro,
con quei tuoi "tu farai, vorrai, saprai"!
Questo, del mio paese, è più sicuro
perché presente. Ella ha tritato un poco
di cipolline in un tegame puro.
V'ha messo il burro del color di croco
e zafferano (è di Milano!) : a lungo
quindi ha lasciato il suo cibréo sul fuoco.
Tu mi dirai: "burro e cipolle?"
Aggiungo che v'era ancora qualche fegatino
di pollo, qualche buzzo, qualche fungo.
Che buon odor veniva dal camino!
Io già sentiva un poco di ristoro,
dopo il mio greco, dopo il mio latino!
Poi v'ha spremuto qualche pomodoro;
Ha lasciato covare chiotto chiotto
in fin c'ha preso un chiaro color d'oro.
Soltanto allora ella v'ha dentro cotto
il riso crudo, come dici tu.
Già suona mezzogiorno ... ecco il risotto
romagnolesco che mi fa Mariu'.
Il cibo nelle opere di Pascoli assume però, bisogna dirlo, a seconda dei casi ruoli e funzioni assai diversi: la sua scelta quindi, come quella di oggetti e di luoghi, non è casuale ma fatta perché apportatrice di precisi significati che possono essere slegati da una descrizione di un prodotto o di una ricetta e più collegati a quella di un atto di preparare o trasformare una materia alimentare. Infatti spesso i riferimenti al cibo o alle preparazioni sono chiavi che permettono di capire o attraverso le quali si può accedere a significati più alti o funzioni che comunque esulano dalla volontà di documentazione.
Il banchetto in particolare, all'interno della poetica pascoliana, è una metafora della vita e della morte. Il momento conviviale, generalmente simbolo di unione e coesione tra persone che condividono tra loro qualcosa o che sono parenti, è per il nostro protagonista fonte di inquietudine, esempio della sua relazione col senso del vivere; la vita è intesa infatti sostanzialmente come un banchetto dal quale si può essere scacciati all'improvviso. Interessanti a tal proposito sono anche le metafore che utilizza per delineare il comportamento del giusto invitato e quindi, per associazione, dell'uomo che deve avere nei confronti della vita. Conclusioni e riflessioni che provengono non solo dai vissuti personali ma anche e soprattutto da una profonda conoscenza della poetica classica.
La morte, tema dominante nella poetica pascoliana, emerge inevitabilmente anche nelle metafore conviviali o a tema cibo ma anche nelle credenze dei propri territori alle quali il poeta fa costantemente riferimento. Per quest'ultimo aspetto desidero menzionare una tradizione di matrice popolare presente in Romagna che vuole che i morti della famiglia assieme ad altre entità possano, in determinate occasioni, avere accesso libero alla casa; di conseguenza per non attirarli era necessario non solo non lasciare alcun cibo sul tavolo, ma nemmeno la tovaglia. Un'usanza che è possibile trovare nella poesia "La Tovaglia" facente parte della raccolta "I canti di Castelvecchio" del 1903. In questo componimento il poeta rovescia la tradizione attraverso la sorella, per far si che i morti amati, quelli dei parenti, possano giungere a casa.
Il cibo e gli oggetti legati ad esso non sono quindi elementi citati solo per uno scopo puramente materiale, possono infatti fornire spunti di riflessione più profondi sul senso della vita e della morte e quindi dell'esistenza umana. Non sono quindi solo utili per le loro funzioni materiali, ma perché attraverso essi è possibile individuare rituali non solo alimentari ma anche e soprattutto sociali.
Le tradizioni contadine inoltre, unite alla descrizione delle ricette non sono, come ho avuto modo di spiegare in precedenza, solo descrizioni atte a documentare gli usi di una porzione di territorio italiano ma, attraverso esse, vengono costruiti significati simbolici, metaforici e rituali, che assumono grande valore per il poeta.
Elementi insomma di cultura, tradizione e tipicità che si uniscono ai significati profondi della vita per lasciare ancora oggi anche a noi messaggi importanti per nulla banali e su cui è bene riflettere.
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