I cibi dei morti: tradizioni alimentari italiane per la commemorazione dei defunti.

(Et in arcadia ego, Guercino, realizzato
 tra il 1618 e il 1622)

Il rapporto tra cibo ed uomo è un legame stretto che va ben al di là del mero soddisfacimento di un bisogno. Questa unione si manifesta in molti aspetti della vita: incontri, scontri, ricorrenze ma anche quotidianamente.
Attraverso il cibo l'uomo esprime emozioni, stati d'animo, sentimenti, sancisce legami e celebra piccole e grandi ricorrenze; esso quindi entra in ogni momento della vita umana, accompagnando l'uomo nel suo percorso terreno. Questo profondo legame non finisce qui ma prosegue anche dopo la morte. Il cibo infatti, in culture e paesi diversi, assume un ruolo importante nel culto dei morti: esso è fondamentale per commemorarli, consentirne il trapasso e in alcune culture per migliorare la vita ultraterrena e garantire così la pace ai viventi.
E' ciò che accade anche nel nostro Paese e in altre zone d'Europa durante la festa dei morti: fede, tradizione e superstizione si mescolano al mondo alimentare e si tramutano in proposte gastronomiche fatte con l'intento di onorare chi non c'è più.
La commemorazione dei defunti che si celebra il 2 novembre fu istituita dalla chiesa cattolica nel 610 d.C. . Già nelle religioni antiche del bacino del Mediterraneo e del nord Europa erano presenti queste tradizioni; era diffusa la convinzione (e in alcuni luoghi è ancora presente) che i morti ritornassero sulla Terra nelle proprie case, nella notte tra 1 e 2.
Per accoglierli e render loro omaggio in alcuni luoghi era (ed è) in uso offrir loro da mangiare, in particolar modo dolci. Quelli più comuni sul territorio italiano sono preparazioni semplici; nonostante vi siano numerosissime varianti da regione a regione potremmo riassumerle in tre: fave dei morti, ossa dei morti e pane dei morti.
Queste tradizioni sono particolarmente vive nel Centro-Sud Italia: in Sicilia troviamo le mani, panini dolci a forma di mani intrecciate; dita di apostolo, dolci di marzapane a forma di dita; pupi di zucchero, statuette di zucchero, farina, albume ed acqua di chiodi di garofano che rappresentano gli antenati della famiglia ed infine la frutta di martorana, fatta di marzapane. In Puglia troviamo le fanfulliche, bastoncini di zucchero di forma attorcigliata e la colva, dolce fatto con grano, uva sultanina, mandorle e zucchero. In Campania il torrone dei morti, fatto con cacao, nocciole e frutta candita. In Umbria sono presenti gli stinchetti dei morti, dolci fatti con albume, mandorle, zucchero e cacao. Diversa è la tradizione in Sardegna, qui i bambini vanno di porta in porta e ricevono frutta secca, fichi secchi, melagrane, uva sultanina.
Vi sono anche alcuni alimenti associati ai morti: le fave (attraverso un retaggio romano), infatti nella tradizione monastica medievale la notte della commemorazione dei defunti si mangiava solo fave secche; tale tradizione risiede nel fatto che la pianta ha radici molto lunghe che si credeva facessero da tramite tra il mondo della superficie e quello sotterraneo; lo stesso ruolo era ricoperto da ceci e fagioli.
Anche il melograno aveva un ruolo importante nel culto dei morti e questo era dovuto al mito romano di Proserpina (come è stato già affrontato nel post sul melograno).
Il grano poi era simbolo per eccellenza della morte e della rinascita, anche e soprattutto nella simbologia cristiana che lo collega alla morte e risurrezione di Cristo.
In altre regioni (soprattutto al Nord) era in uso lasciare in cucina un vaso o un secchio pieno d'acqua per dissetare i defunti. Essa in molte culture esoteriche ha una funzione di tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Tradizioni, superstizioni e riti che consolidano non solo il legame con il passato e con chi purtroppo non c'è più, ma anche quello dell'uomo con il mondo alimentare, facendolo diventare un mezzo attraverso cui il mondo dei vivi e quello dei morti possono convivere serenamente.

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