Aringa, un pesce per tutti!
L'aringa (Clupea harengus) è un pesce osseo marino che appartiene alla famiglia dei Clupeidae.
Pe moltissimo tempo questo abitante del mare fu un prezioso alleato della cucina povera. In Scozia le aringhe erano chiamate infatti "delizie d'argento" e in Norvegia "L'oro del mare".
Erano già conosciute e consumate più di 3000 anni fa, solo durante il Medioevo però si diffusero in modo massiccio tra le classi meno abbienti.
Con tutta probabilità i primi che le pescarono in modo massiccio furono gli scozzesi, infatti un documento risalente all'836 d. C. attesta che alcuni mercanti olandesi andavano ad acquistare aringhe salate proprio in Scozia, quindi questa prelibatezza non solo era conosciuta ma anche molto apprezzata e richiesta.
E' necessario però aprire una parentesi perché, se un prodotto come la nostra protagonista, ha potuto diffondersi in modo così estensivo è soprattutto grazie ai metodi di conservazione (in particolar modo essicazione e salagione) che ne hanno determinato l'idoneità al trasporto anche su lunghe distanze. Non a caso, sotto questo aspetto, ebbe un ruolo determinante Willelm Beuckels un pescatore che, nel 1338, mise a punto un migliore metodo di lavorazione e conservazione della nostra protagonista: il barile. In questa tecnica i pesci anziché essere cosparsi col sale erano subito eviscerati e poi immersi nella salamoia. Un processo che garantiva risultati migliori e maggior conservabilità rispetto al precedente.
La pesca e lavorazione dell'aringa si diffusero presto anche in altri Paesi e, in alcuni casi, ciò fu incentivato anche da provvedimenti di re e governanti. Un esempio significativo fu re Luigi VII che nel 1155 impose al mercato di Etampes la vendita esclusiva di sgombri o aringhe salate.
A partire dall'XI secolo furono gli svedesi i primi a pescare i banchi di aringhe del Baltico.
Questo pesce si diffuse per una molteplicità di fattori: era anzitutto a buon mercato, la sua pesca era facile e abbondante ma, aspetto fondamentale, ciò che lo rese idoneo anche per mercati quali i Paesi a sud dell'Europa fu la presenza delle prescrizioni religiose cattoliche sull'idoneità del consumo di pesce nei periodi di magro e digiuno. Un alleato quindi importante e a buon mercato per la maggior parte della società.
Gli olandesi riuscirono a creare un commercio fiorente di aringhe, ne è la prova il fatto che la pesca divenne nel 1476 tra le principali industrie del loro Paese. Essi inventarono anche una rete che consentisse di aumentare il numero di aringhe pescate ma, nel XVII secolo, la guerra contro Inghilterra e Francia fece crollare l'industria con conseguenze anche per il commercio della nostra protagonista.
Furono gli scozzesi a diventare i re delle aringhe nel XIX secolo. Il loro modo di consumarle era molto versatile, si mangiavano infatti: crude, essiccate, salate, marinate, sott'aceto e anche fermentate. Le aringhe affumicate divennero, proprio in questo periodo, un prodotto immancabile nella colazione inglese.
Anche in Italia l'aringa era consumata. Associata anche da noi prevalentemente ai ceti poveri e che avevano scarse disponibilità economiche; a differenza dei Paesi del Nord in Italia era diffusa in commercio solo conservata (per ovvi motivi).
Fino al secolo scorso in Veneto e Toscana vi era l'abitudine di battere un'aringa affumicata su due fette di pane per insaporirlo e cercare (con l'immaginazione) di arricchire il pane. In altre località invece si aggiungeva un'aringa alla polenta preparata per tutta la famiglia, il suo sapore forte poteva infatti dare gusto a un piatto fondamentale per le tavole rurali e che poteva sfamare così parecchie persone.
Gusti, tradizioni e storie che si intrecciano con le necessità della povera gente, la fame diffusa per secoli e i pochi mezzi a disposizione. Certamente oggi l'aringa rimane un prodotto particolare che, per il suo gusto e aroma, non è apprezzato da tutti. E' comunque un pesce che andrebbe riscoperto e valorizzato, anche per far luce su un pezzo della nostra storia.
![]() |
(Georg Flegel, Natura morta, 1635, Colonia, Wallraf-Richartz Museum) |
Commenti
Posta un commento