Leonardo Sciascia e il cibo.
Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 - Palermo, 20 novembre 1989) fu un uomo estremamente poliedrico e denso di cultura: scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo, poeta, politico e critico d'arte italiano. Un grande esponente della cultura italiana del secolo scorso.
Uno scrittore molto attuale, soprattutto per le sue attenzioni non solo alla cucina ma, soprattutto, alla cultura del mondo contadino e alla sua importanza per la vita umana ancora oggi. Sono emblematiche a tal proposito le parole che pronunciò quando ricevette il premio "Nonino" nel 1983:
"La civiltà contadina non è morta e nello stesso momento in cui morirà, morirà anche l'uomo"
Nelle sue opere emergono i prodotti della terra e del faticoso lavoro nei campi: il grano di diverse qualità e tipi (simbolo del lavoro contadino, della fatica e delle avversità climatiche e nel coltivarlo) ma anche le fave, elemento immancabile nelle mense povere contadine tanto da essere definite la "carne dei poveri".
Anche i ceci sono presenti nella sua narrativa, emergono per esempio nell'opera "Il giorno della civetta" nelle conosciutissime panelle e nella voce del venditore.
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(1979) |
Nel romanzo "Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia" al protagonista ad un certo punto viene voglia di un piatto semplice e profondamente legato alla cultura popolare: la "pasta alla carrettiera", composta da olio, aglio crudo, pepe e pecorino grattugiato. Un primo che ha numerose varianti, tipico della Sicilia Orientale e della zona della Valle del Platani.
Anche il "coniglio in agrodolce", piatto dalla tradizione antica e dall'influenza araba è presente nell'opera "Il giorno della civetta".
Leonardo Sciascia ebbe un rapporto particolare col vino perché, nonostante fosse astemio, era affascinato e incuriosito dai colori e profumi che quel particolare e prezioso liquido scaturisce.
La ricerca della verità che ha guidato il suo percorso letterario ne ha influenzato certamente anche i gusti, l'attenzione ai cibi, alle materie prime e, soprattutto, alle tradizioni.
Nel racconto "La zia d'America" presente in una breve raccolta dal titolo "Gli zii di Sicilia" emergono non solo molte delle tematiche legate all'emigrazione ma anche e soprattutto associate al cibo. I bambini infatti, aprendo i pacchi che i parenti lontani inviavano loro, scoprivano prodotti e cibi nuovi, spesso considerati strani, frutto della modernità ma anche dell'avanzamento della tecnologia ma che si discostavano molto dai piatti conosciuti. Furono anche esempi di cambiamento e, soprattutto, di contraddizioni sociali e culturali.
Spesso, come capita per molte storie che parlano di gente povera, è soprattutto la fame il motore di azioni, scelte e comportamenti. Sempre nella raccolta citata in precedenza è presente il racconto intitolato "L'antimonio" in cui un minatore siciliano, proprio per fame e disperazione, decide di arruolarsi volontario tra le truppe fasciste per combattere nella guerra civile spagnola a fianco dell'esercito franchista.
Il nostro protagonista era però un appassionato anche dei dolci. Amava in particolar modo il cioccolato di Modica e un dessert particolarissimo e poco conosciuto: il couscous dolce, legato a un monastero di Agrigento, quello di Santo Spirito.
Il tarallo di Racalmuto, suo paese natale, compare anche nei suoi testi e nelle opere. Sono dei biscotti morbidi costituiti da farina, uova, strutto e latte, molto diversi dagli altri taralli che vengono preparati nelle zone limitrofe perché hanno due ingredienti caratterizzanti: il limone di Racalmuto e la glassa di zucchero sopra.
Un legame intenso e particolare quello di Sciascia col cibo che rivive leggendo le sue pagine e si tramuta in vere e proprie evocazioni nei profumi, sapori e colori che sprigionano le sue gustosissime citazioni gastronomiche. Un modo per conoscere la cucina di un pezzo della straordinaria terra di Sicilia.
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