I prodotti del mare



Il percorso del pesce e quello dell'uomo si sono incontrati dagli albori della storia umana quando i nostri progenitori, imparando a domare il fuoco, hanno iniziato a costruire utensili volti a trasformare i prodotti che si procuravano. Sotto questo aspetto l'ambiente con le sue risorse giocò un ruolo di fondamentale importanza nelle prime comunità di uomini primitivi diventate stanziali con l'acquisizione della capacità di trasformare ciò che cacciavano o raccoglievano.
E' chiaro che, in questo contesto, la presenza dell'acqua (fiumi, laghi e mari) fu fondamentale nella sussistenza di tali comunità.
Successivamente durante le civiltà greca e romana e ancor prima quella etrusca il rapporto tra uomo e pesce diventa ancora più stretto. Questo genere alimentare, infatti, non era consumato solo dalle comunità di pescatori disseminate sui porti del Mediterraneo ma diventò ben presto anche e soprattutto una chiara e inequivocabile esibizione di potere. Un esempio chiaro e significativo di quanto esposto sono gli innumerevoli mosaici che sono stati ritrovati nelle dimore patrizie (anche molto distanti dai luoghi di approvvigionamento delle risorse ittiche) il cui principale scopo era quello di ostentare ricchezza e potenza che consentivano, alle famiglie più agiate, l'approvvigionamento del pesce anche in città che non erano fondate sulla pesca.
Nell'antichità, però, tutti i prodotti che provenivano dal mare andavano oltre il solo scopo alimentare per diventare portatori di significati che si incarnavano in miti, storie e animali fantastici che erano parte integrante della vita quotidiana di ogni uomo antico e che assumevano lo scopo di spiegare quei fenomeni legati che rimanevano senza apparente risposta (un chiaro esempio di ciò è il mare in bonaccia personificato dai mostri di Scilla e Cariddi dello stretto di Messina).
Nell'Antico Testamento i nostri protagonisti avevano un significato preciso: l'anguilla, ad esempio, incarna il male o biblicamente definito "antico avversario".
Fu con l'avvento del Cristianesimo che il pesce assunse un ruolo molto importante per due motivi fondamentali: da un lato divenne un modo per riconoscersi, dall'altro un simbolo cristologico vero e proprio. Il primo ruolo si realizzava nelle assemblee segrete: i primi cristiani per riconoscere un individuo infatti usavano tracciare uno dei due archi che componevano il simbolo stilizzato del pesce, se l'altro avesse completato il simbolo voleva dire che era un cristiano ed era quindi ammesso al culto. Già nel I secolo si originò un acrostico della parola "pesce" in Greco "ichthys" : Lesous Christos Theou Yios Soter (ICTYS) che tradotto è: Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore. La parola  era infatti usata nel Nuovo Testamento anche per indicare "pesce".


(Raffaello, La pesca miracolosa, Victoria and Albert
Museum, Londra)


Ancora prima che il Cristianesimo adottasse tale simbolo, esso nei culti antichi indicava la "Grande Madre" e l'utero. Era disegnato verticale, girato a sinistra di 90 gradi, rappresentando così la vulva creatrice. Il legame a fertilità, nascita e forza naturale delle donne era condiviso anche dai Celti e dalle altre culture pagane del nord Europa.
Durante il Medioevo e il Rinascimento il legame tra uomo e pescato divenne ancora più stretto per molte ragioni: sotto alcuni aspetti il pesce, ma soprattutto i crostacei e i molluschi, erano maggiormente fruibili di altre derrate alimentari, inoltre era strettamente legato al calendario liturgico.
La grande presenza di "giorni di magro" settimanali e non (dai 100 ai 150 all'anno) influenzò per molto tempo la scelta di ciò che veniva posto sulle tavole. In virtù di ciò il pesce che era considerato "alimento magro" era consumato come valido sostituto di quei cibi che, secondo le prescrizioni, non potevano essere mangiati. Un esempio di quanto detto si trova spesso nei manuali di cucina che dedicavano ampie sezioni a questo tipo di cucina; il caso più conosciuto è l'opera di Bartolomeo Scappi, cuoco italiano (Dumenza 1500 - Roma 13 aprile 1577).
Anche nei monasteri, che inizialmente avevano bandito il consumo del pescato, si spalancarono le porte ai nostri protagonisti. Infatti, sebbene in alcuni ordini monastici permanesse l'obbligo rigido e irremovibile di non consumare in determinati periodi e/o giorni carne, pesce, uova e latte, altri consentirono il consumo di prodotti ittici; il caso benedettino è quello più conosciuto.
Proprio per questo motivo si diffuse l'acquacultura, per sopperire alle esigenze di integrazione nella dieta secondo le prescrizioni religiose.
Grazie soprattutto ai monasteri, quindi, l'allevamento dei pesci si diffuse anche nei ceti elevati della società per garantire un costante rifornimento ai banchetti dei palazzi (pensiamo alle piscine per l'allevamento ittico di Palazzo Te a Mantova).
Come accade per la carne, però, se il sapore del pesce fresco era conosciuto dai ceti elevati e dagli abitanti dei centri urbani prospicenti alle zone portuali (anche se il discorso per i secondi non vale per tutto il pescato) per i ceti sociali poveri era il gusto del pesce conservato, sotto sale, che era un elemento caratterizzante.


(Tacuina Sanitatis, conservazione del pesce, XIV secolo)

       

E' chiaro come, seguendo queste logiche, le città che commerciavano sale diventarono sempre più potenti. Una delle protagoniste di questo fenomeno fu Lubecca capitale dell'Ansa, lega commerciale tedesca la cui fondazione viene fatta risalire al XII secolo e fino all'avvento del nazismo mantenne il monopolio dei commerci su gran parte dell'Europa settentrionale e del mar Baltico.
Come questo fenomeno sia consolidato anche nel XIX e inizio XX secolo lo dimostra anche Verga. Nei "Malavoglia", infatti, viene descritto come la famiglia partecipava alla preparazione dei pesci e alla loro messa in botti con il sale.
In questi secoli però nacque e si sviluppò l'industria alimentare di lavorazione del pesce ( la trasformazione del tonno era già conosciuta del 1800) e dall'altro alla sempre più crescente diffusione di pescivendoli che, girando per le vie dei paesi, offrivano ai consumatori locali il pescato.
Aumentò sempre di più il divario tra il pescato consumato dai ricchi e dai poveri: se infatti da un lato i preziosi e prelibati crostacei e alcuni tipi di molluschi erano simbolo inequivocabile di classi sociali alte il pesce azzurro diventò emblema dei ceti poveri tanto da assumerne il nome.
Il consumo del pesce era associato, soprattutto in passato, alla diffusione di malattie quali l'epatite dovute ad una scarsa o mal conoscenza dei trattamenti utili a inibire lo sviluppo microbico; è antica di alcuni secoli l'usanza, infatti, di spruzzare limone sopra le pietanze a base di pesce con la convinzione di evitare i possibili "effetti collaterali"  dovuti al consumo di prodotti ittici che non venivano trattati correttamente. Le due opere presenti qua sotto, appartenenti a due secoli diversi e distanti dimostrano quanto ciò sia vero.


(Willem Claesz. Heda, Still Life with a Roemer and Watch, 1629,
Mauritshuis, The Hague, Netherlands)



(Luis Egidio Meléndez, Still Life with Salmon, Lemon and
three Vessels, 1772, Museo del Prado, Madrid, Spain)


 
Durante gli anni Cinquanta, con il boom economico, il consumo di pesce subì una flessione in favore di alimenti a base di carne o che riflettevano le mode provenienti dall'America.
Negli ultimi anni si è assistito ad una sempre più forte inversione di tendenza, complici anche le diffuse malattie a carico dell'apparato cardio-circolatorio dovute ad una dieta eccessivamente ricca di grassi saturi, sempre più persone stanno riscoprendo le virtù del pesce azzurro. A questo proposito anche i media propongono ed incentivano con maggior frequenza il consumo del "pesce povero", che fa bene alla salute ma anche al portafoglio.
Sarà l'anticamera per una rivoluzione dei consumi italiani? Noi che siamo sempre più restii alle piccole/grandi rivoluzioni sapremo sempre più apprezzare questo tipo di pesce così poco considerato e bistrattato? Chi vivrà vedrà!. 

Commenti

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