L'anguilla tra tradizione e festività, storia e cultura.

L'anguilla è un prodotto colmo di storia, che unisce il Bel Paese da Nord a Sud e compare, in modi differenti, nella cucina delle festività natalizie.
E' infatti tra i principali protagonisti delle preparazioni di  questo mese e fa bella mostra sia nelle vetrine delle gastronomie che sulle tavole di molti italiani, sebbene oggi il prezzo e i gusti ormai cambiati ne limitino l'acquisto.
La sua presenza nella storia non si limita al territorio italiano o ai soli ambiti commerciale e gastronomico, ma affonda le radici nel mondo antico ed in simbologie unite a credenze religiose e sociali. Gli antichi Egizi, per esempio, la veneravano e la allevavano in apposite vasche.

(La pesca dell'anguilla, opera medievale)

Una delle sue caratteristiche principali ancora oggi e che la rese nel corso dei secoli particolarmente adatta ai commerci, è che riesce a sopravvivere a lungo fuori dall'acqua, soprattutto se coperta con foglie fresche e leggermente umide. In particolare a partire dal Medioevo la rigida divisione dei periodi dell'anno in giorni di magro e grasso imponeva il consumo di alimenti che sostituissero la carne; al tempo stesso, l'impossibilità di trasportare il pesce di mare per lunghi tragitti determinò spesso, soprattutto nelle zone dell'entroterra, il prevalente consumo di pesce d'acqua dolce che presso le residenze dei nobili o i monasteri veniva allevato in apposite vasche.
L'anguilla, grazie soprattutto alla sua resistenza, rientrava senza dubbio in questo sistema alimentare e culturale come del resto ci confermano anche opere di intellettuali. Marcantonio Severino, per esempio, nel suo "De piscibus in sicco viventibus"  del 1655 conferma che poteva sopravvivere al di fuori dell'acqua fino a sei giorni, teoria confermata anche dal grande umanista e gastronomo Bartolomeo Sacchi. Ma c'è di più, Severino conferma anche la convinzione popolare risalente addirittura al mondo antico e avvalorata dalle figure della scienza e della cultura, su come si origini (misteriosamente) la nostra protagonista. Si riteneva infatti che essa si formasse spontaneamente dal fango, in condizioni particolari. Fu solo con Francesco Redi alla fine del XVII secolo che venne confutata questa teoria.
Nonostante oggi si parli esclusivamente di anguille e capitoni (i secondi anguille femmine di grandi dimensioni), secoli fa la distinzione era più meticolosa e vi era una suddivisione rigida, anche dal punto di vista terminologico, a seconda delle dimensioni dell'esemplare pescato.

(Edouard Manet, Natura morta con carpa e ostriche, 1864,
Chicago, Art Institute)

Comacchio e Napoli sono i due luoghi (tra i tanti!) che consentono di tracciare una linea ideale e storico-gastronomica che collega modi diversi di prepararle e cucinarle e la loro presenza nel tessuto sociale e culturale. Sono infatti le vecchie foto dei pescatori di anguille del Nord che destano attenzione e curiosità e identificano non solo un sistema culturale ma anche di vita e di rapporto con l'ambiente circostante; un legame, per così dire, che si manifesta nella presenza immancabile della nostra protagonista nei meravigliosi presepi napoletani (oltre che nella gastronomia), che documentano un rapporto stretto e vivo. Sono molte infatti le ricette che la vedono come protagonista, in molti territori italiani, dalle anguille in brodetto a quelle cotte allo spiedo.
Una presenza che permea la cucina e la cultura italiane non solo nel periodo natalizio ma che fa parte di un panorama più complesso ed articolato che si concretizza nella letteratura, già a partire dal mondo antico.
Le parole di Plinio il Vecchio che riporto qui di seguito sono una testimonianza non solo dell'esistenza di un prodotto in un sistema alimentare ma, nello specifico, del legame esistente tra materie prime, luoghi ed uomo.

"C'è un lago in Italia, il Benaco, nel territorio veronese che è attraversato dal fiume Mincio: alle uscite di esso annualmente all'incirca nel mese di ottobre, quando il lago è in burrasca, per effetto, come è chiaro, della costellazione autunnale, le  anguille vengono a densi gruppi trascinate tra i flutti, in numero impressionante, a tal punto che nei recipienti del fiume, scavati proprio per questo motivo, se ne trovano degli ammassi di un migliaio ciascuno"

Facendo un salto di secoli, Eugenio Montale, colpito dal viaggio dell'anguilla per riuscire a riprodursi, ne fece una metafora della condizione umana:

L'anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre più addentro, sempre più nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d'acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d'Appennino alla Romagna;
l'anguilla, torcia, frusta,
freccia d'amore in terra
che solo i nostri botri o i disseccati 
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l'anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l'arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito;
l'iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell'uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?

Un prodotto quindi che, come ho voluto far emergere attraverso questo breve percorso, non si limita alle festività natalizie ma è saldamente ancorato alle pratiche alimentari e culturali di molti territori italiani.

(Pablo Picasso. Anguille, granseola e pesci, 1940)


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