Altro che favole! Raperonzoli tra cucina, territorio e tradizioni locali.

 

Le erbe spontanee sono un tesoro prezioso per i nostri territori, non solo in termini di diversità ma anche e soprattutto per il patrimonio culturale e storico. Lo sanno bene i numerosi appassionati, associazioni di tutela o riscoperta ed enti che in tutta Italia, soprattutto negli ultimi anni, fanno conoscere le diverse varietà vegetali, i modi di raccoglierle, conservarle, cucinarle e, non da ultimo, il rispetto dovuto alla natura quando si cercano. Del resto la loro presenza e utilizzo all'interno della cucina e tradizione rurale dei secoli scorsi non è solo l'immagine di povertà legata alle generazioni che ci hanno preceduto, ma anche la capacità di utilizzare le risorse del territorio, rispettandolo e avendone cura.




Il raperonzolo è un'erba molto particolare, poco conosciuta, indubbiamente densa di storia e tradizione. Raccolta e consumata in molti territori italiani, soprattutto al centro-nord, è oggetto di tutela e attenzione per il fatto che viene letteralmente sradicata dal suolo, compromettendone la presenza sul territorio. Proprio per questo motivo in molte località la raccolta è vietata o contingentata, tuttavia è possibile anche coltivarla nel proprio orto. Sempre più realtà legate all'agricoltura infatti ne vendono i semi, evitando così l' impoverimento della flora autoctona. Inoltre, sono nate aziende specializzate nella sua coltivazione e vendita a ristoranti e privati. Il raperonzolo infatti è un'erba che anticamente era associata ai ceti poveri ma ora è stata fortemente rivalutata, tanto che il prezzo d'acquisto sul mercato non è indifferente.

Ma qual è il suo nome scientifico? Campanula rapunculus (o Campanula commestibile) è una pianta erbacea che produce fiori a forma di piccola campana e appartiene alla famiglia delle Campanulaceae.

La particolarità che la contraddistingue da altre specie è la presenza di una radice bianca e carnosa, ottima, motivo per il quale generalmente viene raccolta. C'è da aggiungere, tuttavia, che in passato era considerata un cibo da poveri per due motivi: era un vegetale; ogni sua parte era utilizzata. Fiori e foglie hanno infatti un piacevole retrogusto amarognolo e di sottobosco, la radice invece possiede un lieve sentore di nocciola.




Una specie che si nasconde tra le altre e va quindi cercata e scoperta. E' raccolta solitamente dall'autunno all'inizio della primavera, un periodo molto importante per il suo processo vegetativo che corrisponde alla fase in cui la radice accumula i nutrienti che poi saranno utilizzati per la nascita dei fiori. Un altro elemento che consente ai cercatori di riconoscere la pianta anche in una stagione diversa da quelle di raccolta sono proprio i fiori piccoli e delicati, dal caratteristico colore violetto che la superstizione popolare vuole siano la dimora delle fate buone dei boschi. Proprio per questo motivo non si permetteva la loro raccolta ai bambini che altrimenti sarebbero diventati irascibili o, addirittura, cattivi.

Il suo uso alimentare è indubbiamente molto antico, infatti sono presenti alcune testimonianze non solo della raccolta ma anche del commercio in testi italiani e francesi del XVI secolo.

La nostra protagonista è anche ricca di vitamina C, fibre, proteine, sali minerali e, soprattutto inulina (come il topinambur e la cicoria), un polimero glucidico che dal punto di vista alimentare rappresenta una fibra solubile. Era utilizzata anche a scopo medicinale grazie alle presunte proprietà antisettiche e antinfiammatorie; un esempio conosciuto del suo impiego è nella preparazione di decotti per gargarismi contro il mal di gola.

Una vera e propria golosità insomma, che fa pure bene e piace anche agli animali, soprattutto i cinghiali, che in alcuni casi ne riducono considerevolmente la presenza sul territorio. 

Come ho citato all'inizio di questo approfondimento, è presente in numerose località italiane ed é consumata (naturalmente con la radice e le tenere foglioline ben pulite e lavate) cruda in insalate o, in alcuni casi, anche cotta. Particolare è il modo di abbinarla presente in Romagna, può infatti essere inserita nella piadina calda come una farcitura salutare e ricca di gusto. Anche a Brescia, la mia città, è presente nelle memorie storiche legate alla cucina tradizionale, tipico cibo di una parte dell'anno accompagnato da qualche fetta di salame o formaggio e un bicchiere di vino rosso.

La sua presenza nelle cucine tradizionali è sempre più tutelata, tramandata e fatta conoscere,  ne è una testimonianza il raperonzolo De. Co. di Villaga sui Colli Berici in Veneto.


(Walter Crane, raperonzolo, 1882)


Raperonzolo è anche il nome di una famosa fiaba dei fratelli Grimm, linguisti e filologi tedeschi dell'Ottocento, pubblicata all'interno della raccolta "Fiabe" col titolo originale di "Rapunzel". Un'opera che lega la madre della giovane e bellissima protagonista ai nostri vegetali e al loro consumo; una testimonianza indubbiamente curiosa e insolita.

I raperonzoli sono senza dubbio dei vegetali gustosi dal punto di vista storico e gastronomico che vanno tutelati, conosciuti e protetti. Provate ad acquistarli e gustate il loro sapore particolare, misto di storia e tradizione. In questo modo conoscerete una parte di territorio italiano e le sue tradizioni gastronomiche e culturali.

Commenti

Post più popolari