Trasformazione, l'anima della cucina.
Poche altre parole possono riassumere meglio l'essenza della cucina e il suo rapporto con il tempo e l'uomo come quella che ho voluto inserire nel titolo di questo post e che, a dire il vero, ne costituisce il perno:
TRASFORMARE (dal latino transformare) è formata dalla preposizione TRANS (al di là) e da FORMARE (aspetto, figura esteriore delle cose) da cui deriva far mutar forma o figura.
Da sempre infatti il mondo del cibo ha ruotato attorno a questo termine ed alle sue infinite declinazioni, nel corso del tempo infatti l'uomo si è costruito o modificato i propri cibi, gusti e disgusti, abitudini alimentari e pratiche sociali e culturali ad essi connesse. Proprio per questo ho voluto inserirne l'etimologia, per chiarire anzitutto il significato profondo ed il legame con il mondo alimentare, ma anche evidenziare come la "al di là" sia nel nostro caso estremamente profondo e coinvolga molto spesso la materia stessa, non solo la sua forma esteriore. Simboli e pratiche con cui il cibo è consumato e comunicato e che ne hanno spesso mutato la natura.
E' indubbiamente un discorso complesso, che vorrei però trattare attraverso l'analisi delle caratteristiche principali che ne delineano gli aspetti curiosi, e spesso contrastanti.
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| (Leon Bonvin, Cook with Red Apron, 1862, The Walters Art Gallery, US) |
La prima trasformazione che desidero menzionare è quella più logica ed intuitiva, operata dalla cottura. E', credo, l'atto fondamentale di mutazione delle derrate alimentari con il quale, ancora oggi, si intende generalmente "fare cucina", un collegamento immediato ma che non sempre corrisponde a verità dato che, come tradizione culinaria giapponese insegna, si può cucinare anche senza cuocere. In linea di massima è però fondamentale perché, proprio questo legame distingue l'uomo dagli animali i quali non cuociono i propri alimenti e non hanno elaborato nel tempo forme complesse di cultura (tecniche, strumenti, materiali) che consentissero questa pratica. Da ciò si è generato un miglioramento sia dal punto di vista sociale che per quanto riguarda la sicurezza dei cibi ingeriti e la loro gradevolezza al palato.
La cottura poi per moltissimi secoli rivestì un ruolo importantissimo, specialmente nel Medioevo. L'avversione della società per il cibo crudo e non trasformato era molto forte, medici e studiosi consigliavano di cuocere i cibi per molto tempo per renderli più digeribili e sicuri, ma anche gustosi. Convinzioni che portavano a cuocere alimenti come la pasta anche per due ore! Non è un caso se, a tal proposito, santi e asceti dei primi secoli rinnegando la civiltà, i peccati e le tentazioni ad essa associati, abbracciavano un regime alimentare in cui i cibi erano crudi e assolutamente non trasformati.
Altra declinazione che la nostra protagonista ha subito è correlata al punto precedente, ovvero in funzione dei dettami medici. La medicina che per molto tempo fu fondata sulle teorie di Aristotele e Galeno, ebbe un'influenza importantissima su dietetica e cucina. Improntata sull'equilibrio degli umori presenti nell'uomo e negli alimenti, sosteneva che andava preservato attraverso attente fasi di preparazione e cottura. La trasformazione dei prodotti era, in questo caso, totale poiché non era importante mantenerne le caratteristiche originarie ma conformarle ai dettami medici.
La nostra tematica è espressa anche, come ho avuto modo più volte di ricordare, nell'esibizione dello status sociale: modificare i cibi, aggiungere grandi quantità di determinate materie prime (spezie, per esempio) considerate prestigiose e quindi di alto valore economico, era una strategia per affermare l'appartenenza ad un ceto elevato. Ciò si manifesta naturalmente anche nel modo in cui erano cucinati e presentati.
La trasformazione si può anche realizzare attraverso cibi che sembrano ma non sono. Mi spiego meglio: per secoli la suddivisione dell'anno in periodi in cui, per motivi religiosi, si poteva mangiare carne (e tutti i suoi derivati) e altri in cui questa era proibita determinò la nascita e diffusione di cibi alternativi. Proposte alimentari che avevano come caratteristica principale l'utilizzo di materie prime vegetali, con l'accortezza però di farle sembrare quelle che non erano. Un aspetto non isolato, anche il mondo contadino o, più in generale, i ceti poveri cercavano di emulare (seppur in minima parte) le preparazioni dei ricchi per motivi da un lato sociali e dall'altro dietetici, come ho già esposto in precedenza. Ecco che quindi le spezie erano sostituite dalle erbe aromatiche ed i profumi dell'orto, oppure la grande selvaggina dagli animali domestici; due esempi significativi di una complessità di piatti spesso ancora oggi esistenti.
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| (Giovanni Lanfranco, Gesù servito dagli angeli, 1616 circa, Museo nazionale di Capodimonte, Napoli) |
Ma il nostro termine ha un ruolo fondamentale anche nelle tante tecniche di conservazione dei cibi che gli uomini hanno elaborato nel corso del tempo per far fronte al periodo invernale o a situazioni particolari. Conserve di ogni genere, salumi, formaggi e tanto altro sono l'espressione più importante della trasformazione materiale delle derrate alimentari, che ha permesso all'uomo di sopravvivere e potersi nutrire.
Mutare ingredienti e cibi è anche segno di distinzione, indipendentemente dal ceto o dalla quotidianità. Ciò avviene, per esempio, nelle grandi ricorrenze dell'anno: Natale, Pasqua, feste patronali; l'Italia, a tal proposito, è fiorente di queste produzioni gastronomiche, ogni territorio ha codificato una propria variante di una ricetta con ingredienti e forme particolari.
La trasformazione poi può essere riferita ad una tematica ampia e coinvolgere veri e propri settori del mondo del cibo: i gusti, le tecniche di cottura, le materie prime utilizzate (locali o provenienti da territori lontani); insomma, come avete potuto notare, questo termine è fondamentale per la cucina e le sue articolazioni culturali e sociali, è bene sempre ricordarlo!
Concludo con una curiosità: sapete che la trasformazione può essere praticata per modificare il gusto e renderlo disgusto? Si, avete capito bene! Alcuni santi o asceti dei secoli scorsi (ad esempio San Giuseppe da Copertino) votati alla negazione del piacere del mangiare e alla mortificazione del corpo, aggiungevano al cibo sostanze per renderlo sgradevole e quindi poco appetibile; un atto di penitenza anche il pasto, insomma. Un modo di trasformare totalmente opposto da quelli che ho fino ad ora analizzato.
Società, cultura e storia si sono profondamente intrecciate attorno al rapporto che si è da sempre intessuto con il termine che è protagonista di questo approfondimento e la cucina, generando elementi interessanti e presenti ancora oggi nel nostro vivere. La cucina non è mai ferma e la trasformazione è la chiave che ne consente la vita e la sua importanza per l'uomo. Ieri come oggi.




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