Beppe Fenoglio, "La malora" e il cibo. Geografia culturale del cibo nelle Langhe.

 

Beppe Fenoglio (Alba, 1 marzo 1922 - Torino, 18 febbraio1963) fu un partigiano, scrittore e traduttore italiano. Seppe raccontare il suo territorio, quello delle Langhe, con precisione e verità.

"La malora" è un romanzo breve pubblicato, per la prima volta, nel 1954. Il protagonista è Agostino Braida, un ragazzo povero di campagna che fa da servitore a una famiglia contadina benestante. Il giovane, nonostante la sfortuna e la vita poverissima che conducono lui e la sua famiglia, decide di resistere e combattere. 

Il romanzo, pur ambientato nel passato, è caratterizzato da una insolita e particolare atemporalità, come i messaggi e le valenze simboliche di cui è fortemente intriso.

Il cibo nell'opera è elemento fondamentale, un filo attorno al quale si sviluppa la vicenda, ma anche la vita povera all'epoca del protagonista.

Nel racconto esso è il mezzo per narrare i fatti, ma anche il veicolo di forti valenze simboliche e, non da ultimo, lo strumento di denuncia di povertà e ingiustizie.





Il cibo e le abitudini alimentari, se così possono essere definite, sono il simbolo potente ma anche tremendamente forte della grande povertà che dovettero sopportare generazioni di uomini e donne costretti a mangiare poco, anzi, quasi nulla come dimostra questo pezzo del racconto:


"A mezzogiorno come a cena passavano quasi sempre polenta, da insaporire strofinandola a turno contro un'acciuga che pendeva per un filo dalla travata; l'acciuga non aveva già più nessuna figura d'acciuga e noi andavamo avanti a strofinare ancora qualche giorno"


Una miseria che, spesso, colpisce non solo l'aspetto materiale ma anche quello morale, soprattutto di chi, come il padrone del protagonista, aveva i mezzi per vivere meglio ma era comunque ancorato a una profonda avarizia che lo rendeva insensibile alle esigenze più elementari, perfino della propria famiglia.

In una scena infatti l'uomo prende a cinghiate i figli per aver ucciso e mangiato in sua assenza un coniglio, vittima ed emblema potente delle privazioni a cui, anche loro, erano sottoposti:


" (...) Ebbene, nessuno dei tre che si torcesse o si lamentasse (per le cinghiate) , neanche Ginotta. Intanto loro l'avevano mangiato il coniglio, mentre noi eravamo giù al mulino, e Tobia era arrivato a prenderli solo più con gli ossi."


Una fame atavica che non è mai saziata e che è compagna fedele del protagonista e lo è stata per lungo tempo anche di uomini, donne e bambini, come documentano la storia, l'arte e la letteratura. Una presenza che mai li abbandona e, a volte, può renderli protagonisti di piccoli furti, come il protagonista che ruba la parte finale di un salame e, per la fretta mista a paura e desiderio, la ingurgita senza nemmeno provarne piacere:


" (...) non avevo mai avuto tanta fame e un'occasione così, con nessuno in cucina e sulla tavola un culettino di salame che forse la padrona pensava di sbriciolarlo nella minestra (...) Mi sentii tanto in colpa e così perso come se avessi ammazzato un cristiano, mandai giù intero il salame e scappai fuori".


Una fame che però non colpisce solo i poveri, ma anche persone assolutamente inaspettate! Il giovane curato che chiede alla padrona del protagonista di poter fare qualche lavoretto per raggranellare spiccioli e potersi comprare qualcosa con cui sfamarsi, ponendo così fine alle privazioni cui lo obbligava il parroco, ne è un esempio significativo. Qui emerge anche la generosità e il buon cuore delle persone semplici che sanno immedesimarsi nell'altro e aiutarlo come possono; la donna è un emblema di ciò in tutto il racconto.

Il territorio, i suoi miseri doni e i lavori che in esso vengono fatti sono altri temi ricorrenti nell'opera. La mamma del protagonista che produce le robiole per raggranellare qualche soldo a sostegno della famiglia o il materasso fatto con le foglie di mais sono due esempi estremamente efficaci della povertà in cui hanno vissuto, fino a quasi metà del secolo scorso, generazioni di uomini e donne, ma anche del forte legame con le poche cose che la povera terra poteva offrire loro.

Emergono anche cibi che uniscono località differenti, accomunando così le persone, le loro condizioni di vita e il rapporto col cibo e la povertà. Un simbolo potente di tutto ciò è certamente la polenta, nutrimento e condanna di moltissime persone in passato ma anche preparazione che accomunava i contadini lombardi a quelli piemontesi o veneti. Un cibo, insomma, emblema di una condizione sociale.

L'alimentazione è certamente presente anche nei momenti tristi e felici della vita, ne traccia i contorni, accompagna in qualche modo l'uomo e, al tempo stesso, rende partecipe il lettore dei riti e delle usanze che ruotano attorno agli alimenti e alle ricorrenze del vivere, importantissime soprattutto in passato. 

Un primo esempio significativo di quanto appena esposto è costituito dai piatti che vengono preparati per il pranzo funebre in occasione della morte del padre, una tradizione che, anche i più poveri, rispettavano a modo loro, in funzione cioè delle possibilità economiche:


"Per pranzo c'era tonno, sardine e olive, gallina e il suo brodo, doveva morire nostro padre per metterci nell'obbligo di fare un pranzo così"


Anche le festività annuali erano fortemente connesse al cibo e ai prodotti alimentari, non per tutti però, la famiglia del protagonista infatti era tanto povera da non potersi permettere nemmeno i doni ai bambini, quei cibi che oggi i giovani rifiutano o non considerano e che un tempo, i nostri nonni lo possono testimoniare, erano fonte di gioia, stupore e grande trepidazione:


" (...) E a Natale non vedemmo più i fichi secchi e tanto meno i mandarini"


Un mondo quasi dimenticato quello narrato da Fenoglio, una storia fatta di povertà, ingiustizia e amarezza. Documento prezioso delle condizioni di vita dei contadini italiani, declinabile in moltissime varianti territoriali diverse, tutte accomunate dalle medesime caratteristiche. 

Una storia in cui il cibo è un elemento narrante fondamentale, un compagno di vita, anche nella sua assenza! Per noi invece è un documento prezioso attraverso cui indagare e scoprire allo stesso tempo tradizioni dimenticate e, non da meno, il grande valore di ciò di cui quotidianamente ci nutriamo.


NOTA: le citazioni presenti sono tratte dal libro "La malora" di Beppe Fenoglio, Einaudi, ottobre 2022.

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