Cibo e tempo.... un modo per ricominciare?!


Quando si parla di cibo sono tanti gli argomenti che possono essere analizzati; ognuno di noi sa che, grazie alla sua importanza nella vita dell'uomo, esso assume un valore assai rilevante sotto più aspetti dell'esistenza. Tra i tanti e vasti discorsi che si possono fare è possibile concepire un legame tra uomo e tempo? Alla domanda appena posta verrebbe da rispondere in modo frettoloso: "dipende", tuttavia se ci pensiamo almeno un po' questo legame è una delle associazioni fondamentali che regolano da sempre la vita umana.
Nella mente di tutti il primo aspetto cha appare chiaro in questo ampio discorso è legato al susseguirsi di festività e ricorrenze che in passato, più di oggi, costellavano il calendario e, oltre ad associarsi spesso a specifici riti religiosi e/o civili, avevano anche uno o più cibi o pietanze abbinati. Occorre fare tuttavia un'importante distinzione tra gli elementi culturali e naturali, nonostante tra i due vi sia una indiscutibile interdipendenza. I secondi sono legati, come dice il nome stesso, alla natura, ovvero ai fenomeni prettamente naturali come il susseguirsi delle stagioni, l'alternarsi di periodi di siccità ad altri di abbondanza o piogge, ma anche altri aspetti climatici e ambientali; i secondi sono la logica conseguenza dei primi, ovvero l'ingegno umano applicato all'esigenza di contrastare e minimizzarne gli effetti negativi dell'ambiente.
Le prime riflessioni che ho fatto finora possono erroneamente accentuare l'attenzione sulla concezione del "tempo come limitazione", ovvero barriera da superare. In realtà, come ho voluto mostrare potremmo pensare che esso sia stato, un po' per forza di cose, uno straordinario propulsore dell'ingegno umano e quindi nell'evoluzione delle prime società.
Non è tanto la natura che, a mio parere, pone vere e proprie limitazioni all'uomo, ma è esso stesso l'artefice, sotto vari aspetti, delle proprie barriere. Pensando a questo non posso non proporre come esempio le norme alimentari imposte ed esistenti in base alle ricorrenze dell'anno liturgico, i periodi "di grasso e di magro" condizionarono per molti secoli generazioni di fedeli, modificando profondamente le loro abitudini alimentari e introducendo talvolta alimenti fino ad allora poco utilizzati e considerati, si pensi al caso dell'olio.


(D. Velazquez, Il pranzo, 1617 circa, Hermitage Museum,
Saint Petersburg)


Il tempo connesso al cibo è anche quello necessario per prepararlo, sembra una considerazione ovvia e banale questa ma, se riflettiamo, apre la strada a tematiche di analisi molto interessanti. I lunghi tempi connessi alla cucina sono comuni alle elaborazioni culinarie ricche e povere, ma in modi e forme assai diversi. Nelle prime essi si concretizzano nei tempi di preparazione dei grandiosi pasti dei ricchi nobili, caratterizzati da numerosissime portate, grandi abbellimenti scenici e cotture di pezzi di carne molto grandi (a volte animali interi!). Diverso è il caso della cucina povera, in cui il lavoro dei campi, le faccende domestiche e l'esigenza di accudire alla prole lasciavano ben poco spazio alle donne di casa per cucinare. Ecco che, in questo ambito, non la facevano da padrone solo le pentole di zuppa o minestra che venivano poste sul fuoco e lasciate a sobbollire per molto tempo (vi ricordate la zuppa nel film "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno"?!), ma anche nelle cotture lunghe sotto la cenere, in contenitori di coccio sigillati o, come in ambito francese e del Nord Italia, sotto grasso, confit per intenderci.
Due modi diversi di cucinare, che identificano altrettanti aspetti difformi col tempo, dettati dalla voglia di stupire o, più semplicemente, dall'esigenza.
Altro aspetto da prendere in considerazione è il tempo necessario a ottenere le materie prime, anche in funzione di ciò in passato si sancivano le diversità tra cibo dei poveri e dei ricchi. Le spezie che necessitavano di molto tempo per essere reperite erano anche per questo uno status simbol, segno di distinzione sociale e possibilità di spendere, viceversa le materie prime che richiedevano poco tempo per essere reperite erano spesso considerate volgari o poco adatte ai palati nobili, chiaramente con le dovute eccezioni e specificità che in parte ho spiegato anche in precedenti articoli. Sotto questo ulteriore aspetto anche il tempo associato alla stagionalità era un elemento importante, saper valicare i vincoli che il clima e le stagioni imponevano non era essenziale solo per la sopravvivenza, ma poteva anche divenire occasione per esibire potere e disponibilità economiche. Del resto, come scrisse Cassiodoro, politico, letterato, storico e ministro del re Teodorico (attorno al VI secolo circa): " Solo il semplice contadino si accontenta di ciò che fornisce il territorio. La tavola del principe deve offrire  tutto e suscitare meraviglia solo a vederla ". Saper valicare il tempo, inteso come il susseguirsi delle stagioni, e lo spazio, ma anche come le distanze ingenti per il procacciamento di determinate derrate alimentari non era cosa da tutti, sinonimo indubbiamente di potere e disponibilità economiche; non a caso Bartolomeo Stefani, capocuoco presso la corte dei Gonzaga attorno al XVII secolo affermò in un suo famoso trattato che il 27 novembre 1655, al banchetto organizzato in onore della regina di Svezia, diede disposizione di servire, tra le tante vivande, fragole al vino bianco sostenendo che fossero sufficienti validi mezzi di trasposto e cospicue somme di denaro per ovviare al problema del procacciamento delle derrate alimentari.
Se ci pensiamo bene è curioso che oggi la tendenza sia opposta, il tempo concepito come stagionalità ha un ruolo importante. Di fronte a un mercato sempre più omologato in cui si possono trovare le più disparate materie prime anche fuori stagione, il ritorno a un legame più saldo col territorio ha assunto un'accezione positiva non solo dal punto di vista salutistico ma anche culturale e concettuale.
Ma tornando al passato il legame che è protagonista in questo mio articolo è presente anche in medicina, secondo le teorie mediche medievali infatti, l'assunzione dei cibi (caldi, freddi, umidi e secchi) era regolata in funzione del tempo meteorologico e delle stagioni, segno del forte legame tra uomo e natura.
Inoltre cibo e tempo è un'associazione presente in tutte le culture e civiltà all'età umana, ogni fase della vita di un uomo ha sempre avuto dei cibi adatti al suo mantenimento e al raggiungimento di quella successiva, nel tentativo di tutelarne la salute salvaguardando i delicati equilibri uomo-natura.


(Pehr Hillestrom, Cameriera che travasa la
zuppa dal paiolo, XVIII secolo,  )


Com'è mutato tale rapporto oggi? Indubbiamente è un argomento molto difficile e articolato, tentare di risolverlo in queste poche righe sarebbe riduttivo, tuttavia credo che una breve riflessione aiuti a porci degli interrogativi interessanti. Parlare di tempo sembra infatti quasi un paradosso, bisognerebbe discutere sulla sua mancanza, ciò si esprime in molteplici aspetti: non solo nell'atto del cucinare, ma anche in quello di scegliere le derrate alimentari, investire parte delle giornate per conoscere meglio la cultura del cibo e del territorio, venire a conoscenza di diverse forme di alimentazione. La mancanza di tempo porta di fatto a fare scelte frettolose dettate unicamente dalla necessità di avere qualcosa di comodo, gustoso e che allo stesso tempo non impegni troppo. Ciò sembra scontato, in realtà tutto questo porta a fare acquisti errati che hanno influenze negative non solo sui nostri stili di vita ma anche su quelli dei nostri figli.
Quale può essere quindi un punto di svolta significativo a questa complicata situazione? A mio parere un singolo comportamento non basta, occorre essere più attenti in ciò che facciamo e nelle scelte che pratichiamo. Forse sarà una concezione utopica ma la soluzione, quantomeno paradossale se consideriamo la storia della cultura alimentare umana, potrebbe essere nel cedere una parte della nostra indipendenza dal tempo, tornando quindi a un legame più profondo ed autentico con la terra e quindi con la stagionalità, capendo che in fondo, come dicevano le nonne bresciane, "ogni stagione ha i propri frutti".

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