Chiacchiere di gusto! Storia e curiosità su un dolce di Carnevale.

 

I dolci di Carnevale, che stiamo consumando in questo periodo, sono un connubio di festa, tradizioni locali e golosità. Essi si inseriscono nelle pratiche volte, fin dall'antichità, a sovvertire per un breve lasso di tempo l'ordine sociale e, al tempo stesso, introdurre l'uomo al risveglio della natura.

Tutte queste simbologie e ritualità hanno influenzato nel tempo, inevitabilmente, anche la cucina determinando l'origine e sviluppo di un grande numero di dolci, diversi da una zona all'altra in funzione delle tradizioni locali. A fianco a ciò vi sono tuttavia preparazioni comuni che, pur subendo piccole variazioni territoriali, sono presenti ovunque. Le chiacchiere di Carnevale, gustose e molto amate, sono un esempio significativo di quanto appena affermato.

Del resto, i moltissimi nomi attribuiti a questo dolce sono una testimonianza concreta della sua presenza su tutto lo Stivale ma anche in altre località europee. A Brescia, mia città natale, hanno il nome di "chiacchiere" o "lattughe"; in Liguria invece "bugie", "chiacchiere" o "crostoli"; a Bergamo prendono il nome di "galarane"; a Reggio Emilia "intrigoni"; nel Lazio e altre regioni del Centro sono conosciute col nome di "frappe"; la loro presenza è consolidata anche al Sud come testimoniano i "guanti" di Caserta e le "maraviglias" della Sardegna.




L'origine delle chiacchiere tuttavia è riconducibile all'antica Roma, in cui prendevano il nome di "fritcilia", cotte nel grasso di maiale erano consumate in occasione dei Saturnali, serie di festività dedicate all'insediamento nel tempio del titano Saturno e all'età dell'oro. Furono poi fissate da Domiziano, in epoca imperiale, dal 17 al 23 dicembre. Alcuni elementi di queste feste pagane: sovversione dell'ordine sociale, distribuzione di dolci e, in particolar modo chiacchiere, festeggiamenti molto sentiti, furono poi rielaborati culturalmente dalla religione cristiana.

Anche Apicio, famoso gastronomo romano a cavallo tra il I secolo a. C. e il I secolo d. C. nella sua opera "De Re Coquinaria", afferma che erano preparate con farina di farro e, una volta cotte, cosparse di miele.

Una leggenda napoletana le lega non solo alla città ma anche alla Regina Savoia la quale, mentre stava parlando con degli ospiti, fu assalita dalla fame e chiese dunque al suo cuoco di corte di prepararle un dolce sfizioso da poter consumare al momento. Furono così inventate le chiacchiere a cui fu dato tale nome proprio a causa di quell'evento. In realtà, come ho esposto in precedenza, la loro origine è ben più antica.

E' bene inoltre aggiungere che, soprattutto a partire dall'epoca medievale e poi anche in quelle successive (fino ad arrivare sostanzialmente al secolo scorso), questi e altri dolci caratterizzati dalla cottura attraverso il grasso animale, erano profondamente associati al maiale e alla sua uccisione. Un vero e proprio evento importantissimo per l'economia e la cucina rurali, i cui effetti erano evidenti non solo nell'alimentazione ma anche nella cultura, nella vita sociale e si intrecciavano naturalmente con alcune festività importanti del periodo compreso tra autunno e inverno. Il Carnevale era infatti una delle ultime occasioni in cui si macellavano i maiali, attività che permetteva di avere disponibilità del grasso, indispensabile per la cottura. Un'abbondanza di gusto e carne certamente momentanea e apparente, non solo per il fatto che nel mondo contadino la macellazione era saldamente associata alle tecniche di conservazione, per avere disponibilità di cibo per vari mesi ma, sul piano culturale e religioso, era destinata a lasciare il posto ai rigori della Quaresima e alla penitenza.

Le origini delle chiacchiere come dolce simile a quello odierno risalgono presumibilmente al Rinascimento. La ricetta scritta appare per la prima volta nell'opera "La singolare dottrina" (1560) di Domenico Romoli, personaggio dalle origini e vita incerte a parte alcune scarse informazioni che lo collocano nel Cinquecento al servizio di diversi signori come scalco.

La ricetta della nostra protagonista è presente, con qualche variante, anche nella grande opera di Bartolomeo Scappi, cuoco italiano contemporaneo del precedente, che affronta i temi legati alla cucina e all'approvvigionamento di materie prime. In questa versione l'autore precisa che l'impasto per le chiacchiere è molto versatile, quindi è adatto a più preparazioni e contiene negli ingredienti, tra l'altro, anche l'acqua di rose.

Le nostre protagoniste appaiono tuttavia anche in ricettari di epoche successive: nel Settecento, per esempio, sono presenti col nome di "flappe" nell'opera "L'Apicio moderno" di Francesco Leonardi, cuoco italiano.

Nell'Ottocento invece in "La nuova cucina economica" di Vincenzo Agnoletti, alla ricetta classica l'autore affianca una versione definita "di magro", molto curiosa non solo per il periodo storico ma anche per il tempo di Carnevale. La sua presenza è documentata naturalmente anche in importanti testi del secolo scorso come "Il talismano della felicità" di Ada Boni.

Lo studio delle opere a tema culinario scritte nel corso dei secoli, permette di fare luce anche sulle modificazioni subite da questo goloso dolce nel tempo, sulle sue modalità di trasformazione, sulle forme a lui date e gli abbinamenti per degustarlo o decorarlo.

Un percorso gustoso insomma, su più fronti, per uno dei dolci che più amo e che, diciamoci la verità, non stanca mai ed è, come ho dimostrato con questo breve percorso, ricco di storia e curiosità!

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