Il bianco che nutre. Biancomangiare tra storia e usi sociali.


Quello che pensiamo di sapere oggi attorno al biancomangiare, cibo che incarna per eccellenza la cucina medievale, è in realtà confuso o addirittura sbagliato. Nella mente della maggior parte delle persone infatti questo nome è associato a un dolce, preparato ancora oggi in vari territori italiani. In realtà è una preparazione ovvero un insieme di ricette caratterizzate da elementi in comune e una struttura storica e culturale precisa.

Non quindi una singola ricetta ma una molteplicità di varianti, che potevano in realtà essere sia dolci che salate, ma che avevano come elemento in comune principale il colore bianco, con le implicazioni sociali e culturali a esso associate. Gli ingredienti per prepararlo potevano essere assai differenti: carni bianche, pesci dalla polpa chiara e delicata, latte di vacca o di capra, latte di mandorla, mollica di pane, zucchero e spezie. Questa grande diversità era generata in realtà da differenti fattori, il periodo dell'anno in cui veniva preparata era fondamentale per definire che tipo di ingredienti potevano essere utilizzati, durante i periodi di magro infatti gli ingredienti associati alla carne erano banditi. Altro fattore era il ceto sociale, è chiaro che alcuni prodotti, come spezie e zucchero, fossero prerogativa delle classi elevate mentre alcuni pesci e tipi di latte, al contrario, di quelli bassi. Oltre a ciò, da prendere in considerazione sono il territorio e la stagione che influenzavano inevitabilmente la disponibilità (e quindi la presenza) di determinate materie prime rispetto ad altre. Anche i gusti e le tradizioni locali legate all'utilizzo di determinati pesci d'acqua dolce, carni o cereali, hanno giocato un ruolo fondamentale nella definizione e diffusione di differenti varianti attorno al nostro protagonista.


(David Teniers il Vecchio, La ricca cucina, 1644, L'Aia, Mauritshuis)


C'è tuttavia un aspetto importante che è doveroso precisare perché permette di definire gli aspetti culturali e sociali collegati a questo piatto. A fianco alle varie preparazioni bianche citate in precedenza infatti erano presenti altre, colorate, grazie all'aggiunta di specifici ingredienti portatori anche di simbologie particolari; lo zafferano è sicuramente uno di questi.

Una diversificazione tutt'altro che banale, molti studiosi di storia dell'alimentazione infatti ritengono che la parola "bianco", di cui è stata accennata in precedenza l'importanza all'interno della trattazione, sia un fraintendimento culturale e storico dei termini appartenenti alle lingue antiche e indicanti, in realtà, una preparazione leggera. Non è infatti un caso se nei vari ricettari nel corso dei secoli questo piatto sia stato posto in specifiche sezioni dedicate ai cibi per malati e/o convalescenti. Un legame che non è in realtà lontano da noi, infatti nel romanzo ottocentesco "Piccole donne" di Louisa May Alcott, Josephine March (Jo), la protagonista dell'opera porta, tra le altre cose, il biancomangiare preparato da sua sorella Meg al vicino malato come augurio per la guarigione e cibo ideale per riprendere le forze.

Se ci pensiamo bene infatti un detto presente ancora oggi, "mangiare in bianco", può fornire spunti di riflessione utili attorno a questa tematica. Oggi infatti con questo modo di dire intendiamo un regime alimentare adottato in giorni in cui, per questioni di salute, dobbiamo mangiare cibi leggeri. Una connessione particolare e stretta con le funzioni culturali e sociali del biancomangiare, preparazione prediletta per secoli dalla nobiltà e dalla cucina monastica. Un legame reso indubbiamente forte anche dall'idea di leggerezza e semplicità connesse al colore bianco e al suo utilizzo in cucina.

Una preparazione comunque diffusa già dall'XI secolo e presente nei ricettari destinati ai ceti elevati. Il popolo non cucinava, di fatto, questo cibo a causa della preziosità degli ingredienti utilizzati; vennero comunque creati ed elaborati nel tempo preparazioni che avevano come finalità l'emulazione dei gusti dei nobili, con ingredienti semplici e poco costosi. Diverse infatti sono le pappe diffuse in molti territori e che hanno avuto tra i fattori d'influenza anche il biancomangiare.

Oggi questo termine, come indicato all'inizio dell'approfondimento, è legato a una serie di dolci diffusi in tutto il nostro Paese in varianti e abbinamenti diversi, una svolta rispetto al passato dovuta probabilmente a Careme, cuoco e scrittore francese tra Sette e Ottocento che, all'interno del proprio profondo lavoro di modifica della cucina e pasticceria, lo trasformò in un dolce. Di certo anche oggi la versione più conosciuta in Italia è quella siciliana, inserita anche da Pellegrino Artusi nella sua celeberrima opera.

Il biancomangiare è quindi un vero e proprio tuffo nel passato, non solo in termini di gusti ma anche e soprattutto di cultura e storia, un modo per scoprire una parte di noi ma anche conoscerla a fondo, senza fraintendimenti o distorsioni, per renderla così ancora più gustosa.

Commenti

  1. Interessante dissertazione! In Sicilia biancomangiare è un dolce meraviglioso!

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    1. E' un dolce ricco di storia. Ma comunque i dolci siciliani sono straordinariamente ricchi di tradizioni e cultura!

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