Il cibo che divide: riflessioni attorno a un paradosso.


Una delle caratteristiche principali del cibo è quella di essere un collante sociale, elemento forte e potente che riesce a unire le persone attorno a una tavola. Una comunità è tale anche perché si raduna grazie a esso, sia in modo fisico che rituale. Non a caso, come ho affrontato in altri approfondimenti, l'esclusione dal pasto comune è la punizione severa per chi non si è attenuto a una determinata regola o principio e si è posto fuori da quella comunione a cui apparteneva. Il mondo monastico ne è un esempio.

Sul legame tra il cibo e le valenze simboliche che ne derivano, vi sono casi in cui esso assume l'opposto dei significati appena esposti. Può sostanzialmente separare, con un'accezione teologica del temine, ovvero dividere assumendo così un valore diverso da quello comune, trascendente; oppure può mettere in gioco aspetti sociali o culturali.


(Carl Spitzweg, Eremita arrostisce i polli, 1841,
Museum Georg Schafer, Schweinfurt, Baviera)


Per il primo caso possiamo avere due esempi significativi: gli asceti ed i monaci. I primi si allontanano dal mondo, rifiutano le sue logiche, le tentazioni e gli aspetti che lo riguardano, cibo compreso. Ho già parlato di questa tematica più volte, tuttavia desidero ricordare che negarsi il cibo comune è un atto di separazione forte che ha la funzione di elevare la vita eremitica a un livello di contemplazione e di appartenenza completa al mondo spirituale. I secondi hanno esigenze e finalità simili ai primi: i monaci infatti, allontanandosi dalla società e ritirandosi in luoghi appartati, hanno avuto da sempre esigenze alimentari diverse dal resto delle persone, riflesse in regole piuttosto rigide (soprattutto nei primi secoli) che vietavano il consumo di determinati cibi per evitare che gli animi si distogliessero dalla costante ricerca spirituale. In questi due esempi la tematica protagonista in questo approfondimento ha finalità religiose ma si contrappone comunque all'idea del cibo come fonte di unione e aggregazione.


(San Serafino di Sarov condivide il suo pasto con un orso)


La divisione si attua anche a livello sociale, aspetto questo intuitivo e costantemente presente nella storia dell'uomo. Non tutti i cibi sono alla nostra portata, le classi abbienti infatti si possono permettere materie prime che sicuramente sono precluse a quelle più povere. In questo modo alcuni cibi sono divenuti nel tempo dei veri e propri status symbol; oggi infatti numerosissimi studi hanno evidenziato come i maggiori fruitori di junk food (cibo spazzatura) sono proprio le classi più povere che non possono permettersi l'acquisto di alimenti un tempo accessibili ma ora divenuti troppo cari, per esempio frutta e verdura.

Il cibo o le sue trasformazioni nel tempo sono state motivo di divisione anche in funzione del sesso, cuocere un alimento in acqua era una pratica associata all'ambito femminile; arrostire direttamente sul fuoco con spiedi o schidioni apparteneva a quella maschile, connessa alla caccia e rappresentante la forza arcaica e bruta dell'uomo.

Altra divisione interessante era tra persone sane e malate, per molti secoli infatti la scienza medica attribuì agli alimenti proprietà terapeutiche per riequilibrare gli umori del corpo umano, responsabili delle varie malattie. Ma questo aspetto non si ferma certo qui, determinati cibi furono per lungo tempo riservati a condizioni di salute particolari: il brodo di pollo per i malati o i convalescenti, il pane bianco per le puerpere (chi si ricorda a tal proposito la scena del parto nel film "L'albero degli zoccoli" di Ermanno Olmi?) i cibi leggeri per gli anziani. 

Esso divise anche le modalità di alimentazione degli intellettuali dalla gente comune, sopravvisse a lungo infatti la credenza che l'attività del pensatore richiedesse cibi leggeri, non troppo elaborati, per evitare di distrarre l'attività cerebrale con quella dello stomaco. Convinzione che ha in realtà origine nella filosofia antica. Anche in questo caso c'è un esempio interessante che desidero sottoporvi: la contrapposizione tra Don Chisciotte e il suo scudiero nel rapporto col cibo. Il primo si dimenticava spesso di mangiare, attento com'era ai suoi sogni e fantasie; il secondo invece totalmente catturato dal costante desiderio di cibo per soddisfare quell'appetito mai sazio che fu caratteristica per secoli dell'immagine letteraria, teatrale ed artistica dell'individuo povero. Non è infatti un caso se nelle rappresentazioni fantastiche dei "paesi di Cuccagna" tutto era commestibile e alla portata di chiunque. In quest'ultimo caso le caratteristiche di sovversione dell'ordine sociale si concretizzavano nella disponibilità di cibo senza sforzo o divisione.


(Giovanni Battista Tiepolo, Il banchetto di Cleopatra, 1743-1744,
National Gallery of Victoria, Melbourne, Australia)


Infine l'alimentazione è stata anche elemento di separazione o, per meglio dire, distinzione all'interno di gruppi filosofici o religiosi: i pitagorici, alcuni movimenti ereticali medievali, i Manichei o i Catari. In alcuni di essi l'esclusione di determinati cibi, la carne per esempio, era una caratteristica dominante del movimento, in altri invece di momenti specifici, come il periodo di iniziazione che consentiva al nuovo adepto di entrare a far parte della comunità. In tutti e due i casi, ma soprattutto nel secondo, l'esclusione di determinate derrate alimentari aveva la funzione di separare l'individuo e proiettarlo all'interno di un nuovo orizzonte teologico o filosofico.

In questo breve viaggio ho voluto analizzare alcuni esempi riguardanti il tema "cibo che divide", credo infatti che la sua complessità sia tanto vasta da permettere la formazione e lo sviluppo di significati e funzioni spesso contrastanti ma che in realtà riflettono la molteplicità delle sue sfaccettature e il forte legame con le differenti espressioni della cultura umana o, più semplicemente, della sua articolazione nel tempo.

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