Il cibo nel "Don Chisciotte" di Cervantes: società, gusti ed influssi culturali.
Il Cibo in Cervantes assume differenti funzioni sociali, culturali e storiche. Esso è presente fin dall'inizio della narrazione e segna lo stretto legame esistente tra scrittore, opera e società del tempo.
"Un piatto di qualcosa, più vacca che castrato, brincelli di carne in insalata, il più delle sere, frittata in zoccoli e zampetti il sabato, lenticchie il venerdì, un po' di piccioncino per soprappiù la domenica, esaurivano i tre quarti dei suoi averi"
Già questa citazione, che in realtà è l'inizio del capitolo primo, risulta essere molto utile per capire chi sia il protagonista e a quale ceto appartenga. L'autore infatti riporta in modo abbastanza preciso la dieta alimentare della bassa nobiltà castigliana, gli hidalgos. Del resto la gerarchia e il cibo erano due aspetti molto importanti e strettamente collegati: ogni ceto aveva non solo le proprie regole alimentari ma anche i propri cibi tanto che, quando nel capitolo X della prima parte don Chisciotte chiese al suo scudiero Sancio cosa contenessero le sue bisacce, quest'ultimo che ovviamente non apparteneva ad una classe elevata gli rispose:
"(...) Ci ho qui una cipolla e un po' di cacio e non so quanti seccherelli di pane però non sono cibarie da così valente cavaliere come voi"
Ma mangiare cose che non appartenevano al proprio ceto non era sconveniente solo dal punto di vista sociale, ma anche e soprattutto per la salute fisica. La preoccupazione di Sancio infatti, presente nella citazione esposta sopra, non è un caso isolato, bensì si ripete altre volte nel corso della narrazione e si concretizza nella credenza comune, tra l'altro supportata dai testi scientifici dell'epoca e dai medici, che l'ingestione di cibi non adatti al proprio ceto potesse procurare gravi danni al fisico dell'individuo. Come risolvere allora tutto ciò, soprattutto sul piano sociale?
La rottura del codice alimentare anche secondo don Chisciotte era estremamente umiliante quando derivava da condizioni economiche non idonee e sufficienti a mantenere un tipo di vita adatto al livello sociale di appartenenza, ma se ciò derivava da una scelta volontaria (come nel suo caso e secondo il suo parere) il trasgressore non era screditato socialmente. Questo era per lui vero soprattutto perché nei tanti libri di cavalleria che lesse non si parlava del fatto che il cavaliere errante mangiasse e tra l'altro, a suo giudizio, vagando la maggior parte del tempo non avrebbe potuto consumare cibi elaborati.
"Errando il più del tempo della loro vita, per le foreste e i luoghi disabitati senza cuoco, il loro pranzo più solito doveva essere di cibi rozzi"
Del resto il cibo e gli uomini, in misura diversa, sono profondamente legati, tanto che attraverso il primo è possibile riconoscere e categorizzare chi si ha di fronte. Nelle loro peregrinazioni, lo spettacolo che si presentò ai loro occhi quando giunsero ad una pianura, e la conseguente sua descrizione, furono aspetti che fecero capire ai protagonisti,senza alcun dubbio, a cosa stessero assistendo. Il tripudio infatti di vivande, cuochi e profumi che sono presenti alle nozze di Camaccio, scena narrata nel capitolo XX della seconda parte, sono fortemente significativi ed identificativi. Allo stesso modo ma in senso opposto è l'esempio fornito dal capitolo XVI della prima parte, in cui in un'osteria che don Chisciotte immaginò fosse un castello, la figlia dell'oste con l'alito che puzzava d'insalata venne immaginata dal protagonista come una bella principessa con la bocca profumata di aromi.
"(...) I capelli, che quasi parevan crini di cavallo, per lui erano fila d'oro lucentissimo d'Arabia, il cui splendore oscurava quello del sole stesso, e, il fiato che senza dubbio alcuno sapeva d'insalata rifredda e del giorno avanti, gli parve che diffondesse dalla bocca un soave olezzo di aromi (...)".
Nell'opera oltre a questi aspetti molto importanti si aggiunge un fattore che in alcuni casi può sembrare paradossale ma al tempo stesso decisivo: la pazzia del protagonista. E' proprio questa che, unita ad altri fattori, assume rilevanza durante l'investitura a cavaliere da parte di un oste: pane bagnato nero e rancido e baccalà mal cotto, sono questi i cibi che gli vengono offerti (non senza scherno) per festeggiare la sua investitura e che la sua immaginazione trasforma in alimenti adatti al suo rango.
Indubbiamente la differenza tra i ceti si fa sentire anche nel rapporto del protagonista con il cibo: per don Chisciotte esso assume un valore di secondaria importanza; preso dai suoi sogni pone l'atto del mangiare in secondo piano, ad imitazione dei suoi tanto amati cavalieri erranti e delle loro gesta. Anche loro infatti, nell'immaginario, dovendo vagare per zone remote o inaccessibili erano costretti al digiuno, così come quando erano presi da un amore appassionato e travolgente nei confronti di qualche principessa; in quest'ultimo caso, come viene riferito dallo stesso don Chisciotte, erano l'amore e il desiderio gli unici alimenti che potevano realmente saziarli. Egli poi era abituato al digiuno già prima di iniziare la sua avventura come cavaliere errante; nella sua dimora infatti i pasti erano assai miseri e sovente capitava che digiunasse poiché, preso dall'avida lettura dei libri, si dimenticava di consumare i pasti. Sotto certi aspetti la figura dell'intellettuale stravagante intento a leggere, quasi ascetico nel suo rapporto con il cibo, si ripresenterà più volte nel corso del tempo, sia in letteratura che nell'arte.
Il cibo è quasi assunto a metafora della vita, del destino dell'uomo e del significato che egli pone al suo esistere. La conferma di ciò si può trovare nelle parole che, in un momento di profondo sconforto, rivolse al fidato scudiero:
"Mangia caro Sancio (...) sostentati, che a te più che a me importa la vita, e me lasciami morire, oppresso dai miei pensieri e dalle mie disgrazie. Io Sancio nacqui per vivere morendo, tu per morire mangiando"
Ma questa citazione è utile anche per capire un altro aspetto importante: il rapporto di Sancio con il cibo. Lo scudiero è un uomo rozzo e assolutamente privo di cultura, appartenente ai ceti bassi della società, quelle fasce sociali costantemente abituate a convivere con i morsi della fame, la cosiddetta "fame atavica", che nel corso dei secoli è stata compagna fedele di generazioni di uomini e donne. E' proprio quest'ultima che fa collocare, come desiderio più grande della giornata, il mangiare in continuazione, anzi, addirittura morire mangiando, nel tentativo di fare propri tutti quei cibi che potevano solo sognare. Questi sono i fattori principali che rendono il rapporto dello scudiero con il cibo estremamente concreto. La preoccupazione principale di Sancio è di riempirsi la pancia, sempre pronto ad ingurgitare cibo e vino. Solo dopo essersi saziato ogni preoccupazione sparisce momentaneamente e tutto appare più sereno. Questo legame è diviso tra due comportamenti che potrebbero apparire ovvi ma che sono in realtà il modo di pensare e di comportarsi delle persone come lui; da un lato infatti è presente il desiderio di mangiare piatti prelibati, e dall'altro è presente una forte capacità di adattamento. Alcune ghiande, del formaggio e un po' di vino possono bastare a renderlo felice.
Si sbaglierebbe tuttavia a pensare che Sancio è un personaggio piatto, privo di spessore morale e sociale. Il fatto inoltre che appartenga al popolo non lo priva della capacità (spesso, però, fuori luogo o priva di connessione con le vicende) di sfornare detti e proverbi, che fanno parte del suo carattere e del modo di comportarsi con gli altri e soprattutto con il suo padrone. Emblematico è il proverbio che pronuncia:
"I morti alla terra, i vivi alla scodella"
importante per comprendere pienamente quanto è stato appena affermato sulle sue caratteristiche e sul rapporto con il mondo del cibo; un pensiero tutto indirizzato al soddisfacimento di un bisogno primario e come si è detto mai placato.
Nonostante ciò non è privo di aspetti positivi, anzi, la volontà (nel bene e nel male) di stare a fianco del suo padrone, unita al desiderio di riscattarsi socialmente, sono due aspetti importanti del modo di comportarsi dello scudiero. Altro punto importante in questa riflessione è la solidarietà, non solo sua, ma anche di altri poveri che compiono nella narrazione. Esempi di ciò se ne possono trovare molti, tra tutti quello presente nella prima parte in cui, nella Sierra Morena, soccorre il giovane Andrea picchiato da un contadino, aggiungendo:
"Prendete fratello Andrea, che a tutti noi spetta una parte della vostra disgrazia"
Altro elemento importante nell'analisi che si sta svolgendo è il rapporto tra società, cibo e scansione sociale del tempo; in un'epoca in cui il dominio della Chiesa si estendeva ad ogni aspetto della vita quotidiana degli individui di tutti i ceti, anche la divisione dell'anno in periodi di grasso e di magro era di fondamentale importanza, così come la sua rigorosa osservanza.
In ultima analisi desidero ricordare che nel racconto non mancano le citazioni gastronomiche sull'influenza araba, segno di una commistione culturale e di gusti, e di un panorama alimentare assolutamente complesso ed inaspettato.
Un'opera importante quindi, anche sul piano gastronomico perché ci consegna la cultura del cibo di un'epoca intera e tutti gli aspetti di matrice culturale, sociale, economica ed ideologica che ad essa sono associati.
"Un piatto di qualcosa, più vacca che castrato, brincelli di carne in insalata, il più delle sere, frittata in zoccoli e zampetti il sabato, lenticchie il venerdì, un po' di piccioncino per soprappiù la domenica, esaurivano i tre quarti dei suoi averi"
Già questa citazione, che in realtà è l'inizio del capitolo primo, risulta essere molto utile per capire chi sia il protagonista e a quale ceto appartenga. L'autore infatti riporta in modo abbastanza preciso la dieta alimentare della bassa nobiltà castigliana, gli hidalgos. Del resto la gerarchia e il cibo erano due aspetti molto importanti e strettamente collegati: ogni ceto aveva non solo le proprie regole alimentari ma anche i propri cibi tanto che, quando nel capitolo X della prima parte don Chisciotte chiese al suo scudiero Sancio cosa contenessero le sue bisacce, quest'ultimo che ovviamente non apparteneva ad una classe elevata gli rispose:
"(...) Ci ho qui una cipolla e un po' di cacio e non so quanti seccherelli di pane però non sono cibarie da così valente cavaliere come voi"
Ma mangiare cose che non appartenevano al proprio ceto non era sconveniente solo dal punto di vista sociale, ma anche e soprattutto per la salute fisica. La preoccupazione di Sancio infatti, presente nella citazione esposta sopra, non è un caso isolato, bensì si ripete altre volte nel corso della narrazione e si concretizza nella credenza comune, tra l'altro supportata dai testi scientifici dell'epoca e dai medici, che l'ingestione di cibi non adatti al proprio ceto potesse procurare gravi danni al fisico dell'individuo. Come risolvere allora tutto ciò, soprattutto sul piano sociale?
(Cristobal Valero, Investitura di don Chisciotte) |
La rottura del codice alimentare anche secondo don Chisciotte era estremamente umiliante quando derivava da condizioni economiche non idonee e sufficienti a mantenere un tipo di vita adatto al livello sociale di appartenenza, ma se ciò derivava da una scelta volontaria (come nel suo caso e secondo il suo parere) il trasgressore non era screditato socialmente. Questo era per lui vero soprattutto perché nei tanti libri di cavalleria che lesse non si parlava del fatto che il cavaliere errante mangiasse e tra l'altro, a suo giudizio, vagando la maggior parte del tempo non avrebbe potuto consumare cibi elaborati.
"Errando il più del tempo della loro vita, per le foreste e i luoghi disabitati senza cuoco, il loro pranzo più solito doveva essere di cibi rozzi"
Del resto il cibo e gli uomini, in misura diversa, sono profondamente legati, tanto che attraverso il primo è possibile riconoscere e categorizzare chi si ha di fronte. Nelle loro peregrinazioni, lo spettacolo che si presentò ai loro occhi quando giunsero ad una pianura, e la conseguente sua descrizione, furono aspetti che fecero capire ai protagonisti,senza alcun dubbio, a cosa stessero assistendo. Il tripudio infatti di vivande, cuochi e profumi che sono presenti alle nozze di Camaccio, scena narrata nel capitolo XX della seconda parte, sono fortemente significativi ed identificativi. Allo stesso modo ma in senso opposto è l'esempio fornito dal capitolo XVI della prima parte, in cui in un'osteria che don Chisciotte immaginò fosse un castello, la figlia dell'oste con l'alito che puzzava d'insalata venne immaginata dal protagonista come una bella principessa con la bocca profumata di aromi.
"(...) I capelli, che quasi parevan crini di cavallo, per lui erano fila d'oro lucentissimo d'Arabia, il cui splendore oscurava quello del sole stesso, e, il fiato che senza dubbio alcuno sapeva d'insalata rifredda e del giorno avanti, gli parve che diffondesse dalla bocca un soave olezzo di aromi (...)".
Nell'opera oltre a questi aspetti molto importanti si aggiunge un fattore che in alcuni casi può sembrare paradossale ma al tempo stesso decisivo: la pazzia del protagonista. E' proprio questa che, unita ad altri fattori, assume rilevanza durante l'investitura a cavaliere da parte di un oste: pane bagnato nero e rancido e baccalà mal cotto, sono questi i cibi che gli vengono offerti (non senza scherno) per festeggiare la sua investitura e che la sua immaginazione trasforma in alimenti adatti al suo rango.
Indubbiamente la differenza tra i ceti si fa sentire anche nel rapporto del protagonista con il cibo: per don Chisciotte esso assume un valore di secondaria importanza; preso dai suoi sogni pone l'atto del mangiare in secondo piano, ad imitazione dei suoi tanto amati cavalieri erranti e delle loro gesta. Anche loro infatti, nell'immaginario, dovendo vagare per zone remote o inaccessibili erano costretti al digiuno, così come quando erano presi da un amore appassionato e travolgente nei confronti di qualche principessa; in quest'ultimo caso, come viene riferito dallo stesso don Chisciotte, erano l'amore e il desiderio gli unici alimenti che potevano realmente saziarli. Egli poi era abituato al digiuno già prima di iniziare la sua avventura come cavaliere errante; nella sua dimora infatti i pasti erano assai miseri e sovente capitava che digiunasse poiché, preso dall'avida lettura dei libri, si dimenticava di consumare i pasti. Sotto certi aspetti la figura dell'intellettuale stravagante intento a leggere, quasi ascetico nel suo rapporto con il cibo, si ripresenterà più volte nel corso del tempo, sia in letteratura che nell'arte.
(William Hogarth, il banchetto di Sancio Panza governatore) |
Il cibo è quasi assunto a metafora della vita, del destino dell'uomo e del significato che egli pone al suo esistere. La conferma di ciò si può trovare nelle parole che, in un momento di profondo sconforto, rivolse al fidato scudiero:
"Mangia caro Sancio (...) sostentati, che a te più che a me importa la vita, e me lasciami morire, oppresso dai miei pensieri e dalle mie disgrazie. Io Sancio nacqui per vivere morendo, tu per morire mangiando"
Ma questa citazione è utile anche per capire un altro aspetto importante: il rapporto di Sancio con il cibo. Lo scudiero è un uomo rozzo e assolutamente privo di cultura, appartenente ai ceti bassi della società, quelle fasce sociali costantemente abituate a convivere con i morsi della fame, la cosiddetta "fame atavica", che nel corso dei secoli è stata compagna fedele di generazioni di uomini e donne. E' proprio quest'ultima che fa collocare, come desiderio più grande della giornata, il mangiare in continuazione, anzi, addirittura morire mangiando, nel tentativo di fare propri tutti quei cibi che potevano solo sognare. Questi sono i fattori principali che rendono il rapporto dello scudiero con il cibo estremamente concreto. La preoccupazione principale di Sancio è di riempirsi la pancia, sempre pronto ad ingurgitare cibo e vino. Solo dopo essersi saziato ogni preoccupazione sparisce momentaneamente e tutto appare più sereno. Questo legame è diviso tra due comportamenti che potrebbero apparire ovvi ma che sono in realtà il modo di pensare e di comportarsi delle persone come lui; da un lato infatti è presente il desiderio di mangiare piatti prelibati, e dall'altro è presente una forte capacità di adattamento. Alcune ghiande, del formaggio e un po' di vino possono bastare a renderlo felice.
Si sbaglierebbe tuttavia a pensare che Sancio è un personaggio piatto, privo di spessore morale e sociale. Il fatto inoltre che appartenga al popolo non lo priva della capacità (spesso, però, fuori luogo o priva di connessione con le vicende) di sfornare detti e proverbi, che fanno parte del suo carattere e del modo di comportarsi con gli altri e soprattutto con il suo padrone. Emblematico è il proverbio che pronuncia:
"I morti alla terra, i vivi alla scodella"
importante per comprendere pienamente quanto è stato appena affermato sulle sue caratteristiche e sul rapporto con il mondo del cibo; un pensiero tutto indirizzato al soddisfacimento di un bisogno primario e come si è detto mai placato.
(José Maria Sert, 1939) |
Nonostante ciò non è privo di aspetti positivi, anzi, la volontà (nel bene e nel male) di stare a fianco del suo padrone, unita al desiderio di riscattarsi socialmente, sono due aspetti importanti del modo di comportarsi dello scudiero. Altro punto importante in questa riflessione è la solidarietà, non solo sua, ma anche di altri poveri che compiono nella narrazione. Esempi di ciò se ne possono trovare molti, tra tutti quello presente nella prima parte in cui, nella Sierra Morena, soccorre il giovane Andrea picchiato da un contadino, aggiungendo:
"Prendete fratello Andrea, che a tutti noi spetta una parte della vostra disgrazia"
Altro elemento importante nell'analisi che si sta svolgendo è il rapporto tra società, cibo e scansione sociale del tempo; in un'epoca in cui il dominio della Chiesa si estendeva ad ogni aspetto della vita quotidiana degli individui di tutti i ceti, anche la divisione dell'anno in periodi di grasso e di magro era di fondamentale importanza, così come la sua rigorosa osservanza.
In ultima analisi desidero ricordare che nel racconto non mancano le citazioni gastronomiche sull'influenza araba, segno di una commistione culturale e di gusti, e di un panorama alimentare assolutamente complesso ed inaspettato.
Un'opera importante quindi, anche sul piano gastronomico perché ci consegna la cultura del cibo di un'epoca intera e tutti gli aspetti di matrice culturale, sociale, economica ed ideologica che ad essa sono associati.
In un punto del Don Chisciotte che cercherò, Sanchi Panza menziona dei panini imbottiti. A che cosa si riferisce esattamente? Potrebbe essere un errore di traduzione? Il termine panino imbottito o sandwich ha origini molto più recenti, perciò il dubbio mi è sorto. Grazie!
RispondiEliminaSalve, è vero ricordo anche io questa menzione. In un libro che ho si fa proprio riferimento a questo cibo però onestamente non ricordo la spiegazione completa... appena rientrerò a casa consulterò il volume e le farò sapere con precisione!
EliminaEcco che le rispondo con (spero) maggior precisone. Il punto esatto da lei menzionato non sono riuscito a trovarlo, tuttavia in alcuni commenti da parte di storici e letterati sui piatti e cibi presenti dell'opera si fa riferimento al fatto che il pane era, in generale, accompagnato a un companatico che naturalmente cambiava a seconda dei ceti sociali. Nell'opera si afferma che il contenuto della bisaccia di Sancio Panza era: pane, cacio e cipolla. Il primo era certamente una forma di pane povera, mal lievitata e costituita da materie prime misere e, naturalmente, soggetta a essiccazione per potere essere conservata e trasportata; il secondo e il terzo ingrediente erano i cibi tipici non solo dei poveri ma anche dei pellegrini, ritenuti indispensabili per il sostentamento della persona ma anche (è il caso della cipolla, farmaco dei poveri) per la cura di possibili patologie. Credo quindi che la citazione del panino imbottito sia, come lei ha giustamente aggiunto, un'errore di traduzione o meglio una mal interpretazione. Credo si tratti con ogni probabilità del riferimento ai vari companatici che un individuo poteva permettersi (quindi pochi e di scarso nutrimento e gusto) e/o di quelli che desiderava. Se ha ulteriori dubbi non esiti a scrivermi, spero di essere stato esaustivo nella mia risposta.
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