Il cibo nel cinema italiano.


Si sa, il legame tra italiani e mondo del cibo è forte e consolidato nel tempo. Un rapporto che vive nella vita quotidiana, nel succedersi delle stagioni e degli anni, ma che ha un'influenza importante e inevitabile anche nelle diverse espressioni della cultura: arte, letteratura, teatro e, come desidero dimostrare attraverso questo approfondimento, cinema. Da sempre infatti quest'ultimo ha avuto uno stretto legame col mondo alimentare analizzandone aspetti noti e sconosciuti, tradizioni alimentari passate e mutamenti nei gusti. Non possono nemmeno mancare le simbologie e ritualità ad esso associate o anche le rappresentazioni satiriche di alcuni aspetti dell'italianità espressi attraverso il rapporto con esso o, più semplicemente, il modo di consumarlo.


(Alberto Sordi, "Un americano a Roma", 1954, regia Steno)


Il cinema ha documentato inesorabilmente anche le stagioni della storia d'Italia e dei consumi, dalla crisi immediatamente successiva alla guerra fino agli anni del boom economico e delle sue tante contraddittorietà sociali, geografiche e generazionali.
Naturalmente sono state anche analizzate ed interpretate, in generale, tutte le grandi diversità presenti nel tessuto sociale del Bel Paese: miseria/opulenza, sobrietà/desiderio di ostentazione, convivialità/isolamento, vita/morte, guerra/pace, quotidianità/mondanità. L'elenco potrebbe essere ancora lungo, così come quello di film, registi e attori italiani che nel corso degli anni hanno saputo declinarle, interpretarle, approfondirle e anche, perché no, denunciarle o, comunque, portarle agli occhi del pubblico.
Come ho già esposto in un precedente approfondimento, una delle figure che indubbiamente si è cimentata a trattare queste tematiche è Totò, nota a tutti la sua passione viscerale per il cibo, quasi ossessione, che si riscontra inevitabilmente in numerosi suoi film e, in generale, nel suo stesso personaggio. In lui le vicissitudini storiche e culturali di una città, quella di Napoli, e di un popolo, si sono concentrati e sedimentati. Piatti, tradizioni locali ma, soprattutto, la fame atavica, sono divenuti le colonne portanti di un personaggio straordinariamente complesso e curioso.
Come non parlare poi di Ettore Scola, scomparso nel 2016. Fu indubbiamente una grande personalità del cinema italiano ma anche, perché no, della cultura gastronomica attraverso la narrazione cinematografica. Ha raccontato infatti pregi e difetti del popolo italico attraverso il cibo ma anche i paradossi dell'Italia post-bellica e il suo tentativo di voltare pagina e proiettarsi al futuro. Nel film "La Cena" del 1998, per esempio, attraverso i tavoli di una trattoria romana il regista narra l'eterogeneità di una società e dei suoi aspetti salienti. A volte tale analisi avviene attraverso il mezzo della comicità, come il film "I Nuovi Mostri" del 1977 creato con altri registi: Mario Monicelli e Dino Risi. All'interno del film Scola si occupò del racconto comico "Hostaria!" in cui, attraverso una grande parodia, i titolari di un'attività, cuoco e cameriere, impersonati da Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, hanno una violenta lite di gelosia durante il lavoro, utilizzando così il cibo come elemento di difesa e offesa. Nonostante ciò le pietanze vengono servite ai clienti che le trovano buonissime. Una grande caricatura insomma non solo della vita dei ristoratori ma anche di fatti e misfatti che possono avvenire all'insaputa degli avventori. Come non dimenticare poi "C'eravamo tanto amati" del 1974 in cui i tre protagonisti, amici, (Nino Manfredi, Vittorio Gassman e Stefano Satta) si ritrovano nella medesima trattoria che li unì molti anni prima, facendo i conti a tavola con gli avvenimenti degli anni trascorsi che portano a conflitti e scontri ma poi, come accade spesso davanti al cibo, la riconciliazione è inevitabile.



(Totò in "Miseria e nobiltà", 1954)


Un altro regista che ho affrontato in vari approfondimenti è Marco Ferreri, particolare e importante, non solo in ambito alimentare il film "La grande abbuffata" del 1973, con Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni e Philippe Noiret. Nella pellicola, girata in realtà in una villa di un quartiere parigino, il cibo diviene metafora di decadenza, mancanza di valori e morte.
Ermanno Olmi è indubbiamente un altro regista che attraverso il proprio lavoro ha documentato il cibo e, in generale, le tematiche ad esso associate. Il film "L'albero degli zoccoli" del 1978 ne è un esempio, un vero e proprio documentario della vita contadina di una parte d'Italia, quella della campagna bergamasca, alla fine dell'Ottocento. Sono documentati così i lavori quotidiani, gioie e dolori, ma anche i diversi aspetti dell'alimentazione, le sue valenze simboliche e l'importanza per la gente povera.
Il cibo è stato anche utilizzato indubbiamente come fonte di comicità, ma anche per ironizzare sui vari aspetti della società; Paolo Villaggio ne è un esempio (sia come regista che come attore protagonista). Fantozzi infatti è un personaggio comico ma, dietro alle sue vicende paradossali, forti e fortemente caricaturali, c'è un'attenta analisi della società italiana e delle sue infinite caratteristiche, anche in campo alimentare. Celebre è la frittatona e gli spaghetti amati da Ugo, ma anche la sua totale incomprensione nei confronti dell'hamburger con patatine fritte che sua moglie, la signora Pina, gli prepara per far contenta la nipote Uga (Ughina) che non vuole mangiare i piatti amati dal nonno. Il povero Fantozzi si trova spiazzato nei confronti di un cibo che non conosce e non fa parte delle sue abitudini culinarie e culturali, tanto che non sa nemmeno come mangiarlo. Una scena che, se ci pensiamo bene, non è solo umoristica ma contiene la percezione dei cambiamenti nell'alimentazione delle differenti generazioni.
Altro caso interessante sono i cosiddetti "cinepanettoni" , film comici che da molti decenni ormai hanno accompagnato gli italiani durante le festività natalizie descrivendone vizi, gusti, mutamenti di comportamento e anche alimentazione.
Le pellicole hanno documentato anche, sotto certi aspetti, l'incursione nei sistemi culinari e alimentari del nostro Paese di cibi di altri luoghi e culture. L'esempio citato in precedenza in Fantozzi non è certo l'unico, pensiamo quando il ragioniere porta la signorina Silvani a cena al ristorante giapponese, una scena sicuramente tragicomica che culmina nel povero cagnolino della signorina cotto arrosto, ma anche un sipario sulle nuove cucine e forme di ristorazione che proprio in quegli anni iniziavano a incuriosire sempre più italiani, affascinati da tradizioni esotiche e culture differenti. Anche i cosiddetti "Spaghetti Western" di Sergio Leone possono fornirci spunti di riflessione, in questo caso le incursioni di piatti che non fanno parte della cultura italiana sono tante e più o meno importanti.



(Scena di "Fantozzi", 1975, con Paolo Villaggio, Liù Bosisio,
Plinio Fernando, regia di Luciano Salce)


Desidero concludere questa mia breve riflessione con il film "That's amore - Due improbabili seduttori", una commedia di Howard Deutch del 1995 con, tra gli altri, l'eccezionale Sophia Loren. Termino quindi con una figura femminile importantissima dopo la carrellata maschile. Nel film interpreta un'avvenente donna napoletana che, giunta in America da Napoli, decide di aprire una trattoria italiana. Al di là delle vicende comiche, è interessante come il film incarni tutta la fascinazione che la nostra cucina ha nei confronti degli altri paesi e anche, diciamocelo, i classici stereotipi ad essa associati. Anche questo può essere, a mio avviso, un elemento di analisi del rapporto complicato tra mondo del cinema italiano (o con attori italiani) e il cibo.
Un legame indubbiamente interessante che è entrato a tutti gli effetti a far parte della nostra cultura ed è una fonte curiosa di gusti, disgusti, abitudini alimentari e sociali, riti e tradizioni di un paese, l'Italia, che da sempre è saldamente legata al mondo del cibo.

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