Cibo e cinema, un matrimonio perfetto! Il caso di Ugo Tognazzi.
Ugo Tognazzi è stato tra i protagonisti di uno dei miei film preferiti: "La grande abbuffata" del 1973 di Marco Ferreri, che ho avuto occasione di citare più volte in numerosi approfondimenti. Nella nota pellicola interpreta i panni di un abile cuoco profondo conoscitore della cucina e della cultura del cibo. Il legame fondamentale che anima l'intera narrazione è quello esistente tra due forme di piacere: culinario e sessuale, aspetti della vita non separati ma l'uno inserito nell'altro in una forte unione e influenza reciproca. Un rapporto quindi complesso e articolato, che sintetizza alla perfezione quello che ha avuto per tutta la sua vita il nostro protagonista con la cucina.
Non è un caso se la sua forte passione (e predisposizione) gastronomica emerge anche nei film, uno degli esempi più importanti che possono essere fatti è il film Satyricon di Gian Luigi Polidoro del 1969 che ha come fonte d'ispirazione la celebre opera di Gaio Petronio Arbitro. In questo caso Ugo Tognazzi interpreta il gaudente Trimalcione, schiavo divenuto liberto che si arricchì con il commercio marittimo. Nel film, come nell'opera, il cibo condensa tutta l'esasperazione contenuta in questo personaggio.
(da "Il magnifico cornuto", 1964, di Antonio Pietrangeli) |
Per Tognazzi nella vita reale il cibo era un aspetto tutt'altro che banale, già nella scelta delle materie prime e nella loro trasformazione, fino ad arrivare ai pasti: quelli consumati con le persone a lui care o con colleghi e amici, solo per citare due esempi noti.
Una cucina sicuramente non professionale, ma fatta con tanto sentimento e con la profonda curiosità di provare e sperimentare idee, intuizioni, ma anche piatti della tradizione. Sicuramente un personaggio che non cadeva in sterili ovvietà culturali e gastronomiche ma sapeva stupire e soprattutto stupirsi per materie prime e prodotti, non legato a categorie alimentari strette ma appassionato di tutte le portate. Sono numerosi gli aneddoti a tal proposito, uno di questi è legato a una cena organizzata per discutere il copione del film "La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone" del 1975, regia di Pupi Avati, in cui per aderire al titolo del film Tognazzi preparò un menù completo a tema "fichi fioroni" , prodotti particolari che si originano dalle gemme dell'anno precedente e maturano attorno a giugno/luglio.
Il cibo e quindi anche la sua creazione o anche solo il poterne discutere, era motivo per lui non solo di gioia ma anche di gioco. L'aspetto ludico legato all'alimentazione emerge nella scena della cucina della pellicola "I nuovi mostri", film collettivo a episodi del 1977 di Mario Monicelli, Dino Risi ed Ettore Scola. Nella parte intitolata "Hostaria!", in una semplice osteria romana una coppia omosessuale costituita da cameriere e cuoco, con il locale affollato e una comitiva snob arrivata per assaggiare la loro rinomata cucina popolare mette in atto, proprio in cucina, una vera e propria battaglia in cui il cibo è elemento di difesa e offesa, venendo così decontestualizzato e uscendo dal mero atto alimentare.
Le tematiche inerenti all'atto del nutrirsi e agli elementi materiali e immateriali di cui è costituito sono affrontate nei film del nostro protagonista con una complessità straordinaria. Esse coinvolgono infatti, com'è già stato visto, diversi aspetti della vita, anche l'amore. Non a caso, il legame tra questo importante componente dell'esistenza umana e l'alimentazione è notoriamente stretto; il film "l'anatra all'arancia" del 1975 di Luciano Salce è un esempio significativo di quanto appena affermato. Nella pellicola una coppia in crisi che vuole separarsi decide di passare un weekend coi rispettivi amanti, con l'intento di suscitare da ambo le parti la gelosia. L'anatra all'arancia, da cui il film prende il nome, è il piatto consumato durante il loro viaggio di nozze che il marito (Tognazzi) propone grazie alle sue presunte proprietà afrodisiache, dovute anche alla presenza di una spezia particolare, suo ingrediente segreto: il piticarmo.
Un legame, quello di Ugo Tognazzi con la cucina, estremamente complesso e variegato, del resto lui stesso amava definirsi "cuoco prestato al cinema". Passione identificabile non solo grazie ai piatti da lui creati, alle occasioni di convivialità condivise con amici, colleghi e parenti, ma anche alla creazione di un ricettario scritto di suo pugno e contenente alcune ricette che elaborò o inventò.
Fu naturalmente anche un amante del bere bene e, in generale, del mondo del vino, tanto da fondare l'azienda "La Tognazza", che riflette il suo stile, la sua filosofia e l'amore per il mondo gastronomico.
Un rapporto assolutamente poetico col cibo, con le sue valenze simboliche e l'influenza nella vita dell'uomo, singolarità che si concretizzava anche nel rifiuto di termini come ingordigia o golosità perché generalmente associati a un'immagine peccaminosa, ma anche a controllo e continenza. Il suo rapporto, invece, era libero, senza schemi, costrizioni, vincoli o dogmi sociali, culturali e, men che meno religiosi. Un vero e proprio amore totalizzante che non chiede nulla, se non la possibilità di essere vissuto fino in fondo, nelle molteplici sfaccettature attraverso le quali si propone ed esprime.
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