Identità alimentare. Quando l'integrazione culturale diventa patrimonio di un Paese.
Quando parliamo di identità alimentare affrontiamo un argomento molto complesso, con bivi e cambiamenti di rotta che spesso fatichiamo a capire.
Nel modo di pensare odierno infatti il concetto di "identità", soprattutto se si parla di cibo, è interpretato come un qualcosa di immutabile, solido, tenacemente ancorato alla storia e al tessuto sociale di un Paese, tanto che siamo portati ad identificarci attraverso pietanze o prodotti. Allo stesso modo, turisti o visitatori di altre nazionalità cadono nel tranello dello stereotipo alimentare (a cui anche noi, a dire il vero, troppo spesso siamo attirati).
Molte persone non conoscendo a fondo alcuni aspetti culturali legati al cibo ritengono necessario salvaguardare il patrimonio culturale e alimentare da presunti attacchi di altre culture senza però rendersi conto che è la scarsa conoscenza il primo veicolo che permette l'indebolimento di una ricchezza culturale, non certo le integrazioni con sistemi diversi.
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Se ne deduce che oggi più che mai l'identità alimentare è minacciata in primo luogo dal nostro vero ed autentico interesse verso una parte importante della cultura di ogni nazione, in particolar modo l'Italia.
Nonostante questa breve parentesi è utile ricordare che in molti articoli ho avuto modo di parlare e argomentare attorno al grande e articolato tema alimentare, sottolineando come esso sia stato multiforme non solo in merito alla nascita e diffusione di mode diverse, ma anche (aspetto ben più importante!) nell'introduzione di alimenti che prima erano considerati "estranei". Il Quattrocento, per esempio, vede l'ingresso del riso, soprattutto nelle pratiche agricole del Nord; altro esempio può essere fornito dall'inizio dell'impiego nelle diverse cucine della fascia alpina del grano saraceno, materia prima che ora appare fortemente legata a quei territori. Gli esempi forniti sono solo la punta di una grande montagna costituita da innumerevoli alimenti che sono tuttora indissolubilmente legati ai nostri ricordi e al concetto che abbiamo di: tradizione e identità.
A volte l'introduzione di nuovi prodotti ha determinato, quasi inevitabilmente, la perdita o il confinamento dell'uso di altri, andando di fatto a sostituirli. Il concetto che abbiamo oggi di "identità alimentare" collima con questo importante aspetto. Ho già affrontato alcuni mesi fa il percorso culturale attorno alla preparazione "polenta", e di come essa sia presente nella storia del nostro Paese da molto più tempo di quanto potremmo aspettarci; del resto già le popolazioni italiche la confezionavano attraverso l'impiego di cereali minori ritenuti non adatti alla panificazione. Proprio questi ultimi furono sostituiti dal mais con la sua introduzione nei consumi dei ceti più poveri, tanto che oggi quando ne parliamo intendiamo quasi sempre quella gialla, immagine ed emblema di un pezzo di storia italiana.
Concettualmente per questo caso, e per tanti altri esempi, si è generato una sorte di paradosso: metodi di cottura e preparazione antichi con prodotti nuovi. La matrice di tutto ciò non è una sola, indubbiamente a fianco della capacità dell'uomo di adattarsi vi furono anche esigenze pratiche legate alla necessità di sfamarsi e fortemente legate a carenze di cibo, di qualsiasi natura.
Connesso per certi versi a questo grande argomento è il fraintendimento che si genera quando spesso, parlando di identità, la si unisce al cibo che diviene così strumento di riconoscimento e appartenenza; altro mondo molto importante e complesso che assume una forte connotazione sociale.
Infine l'identità è influenzata anche dall'intrecciarsi di un popolo con altre culture, con modi di intendere le differenti forme di trasformare le materie prime e con tipicità alimentari difformi da quelle note; appare scontato ma doveroso citare il contributo della cultura araba al Sud, di quella francese (e in alcuni casi tedesca) al Nord, e di tante altre, differenti a seconda della regione e dei fattori di natura storica, politica, culturale ed economica.
L'identità è quindi uno scrigno da salvaguardare e custodire per le generazioni future: in primo luogo attraverso la conoscenza e la valorizzazione dei nostri patrimoni alimentari, ma anche attraverso la comprensione che l'identità non è un punto fermo ma un elemento in costante evoluzione perché strettamente collegato all'uomo e al tempo in cui esso vive. Non si può quindi prendere in considerazione l' uno e ignorare l'altro.
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