Il dono del cielo. Idromele: nettare degli dei.
L'idromele è una bevanda densa di storia, tradizioni e credenze. Conosciuto anche come "nettare degli dei" è una bevanda antichissima che si è intrecciata con numerose civiltà antiche e fu tra le bevande alcoliche più prodotte e utilizzate prima dell'avvento della viticoltura. Il suo utilizzo fu molto variegato: banchetti, conviti ma anche durante le liturgie sacre, perché connessa all'aldilà e al concetto di immortalità soprattutto dalle culture e religioni nordiche.
Un vero e proprio dono degli dei connesso alla natura, al lavoro delle api e alle simbologie ad esse connesse: immortalità, mistero, nascondimento, solo per citarne alcune. Un prodotto comunque diffuso anche in aree geografiche fortemente distanti fra di loro, infatti in alcuni scavi condotti alcuni anni fa in Egitto vennero ritrovati resti di una bevanda simile all'idromele.
Componente fondamentale, come già menzionato, nelle liturgie sacre, nelle occasioni conviviali ma anche nell'insieme delle credenze e tradizioni che si sono succedute nel corso del tempo e che affondano le proprie radici nel rapporto dell'uomo con l'ambiente che ha abitato, e l'esigenza di ottenere benefici da tutto ciò. Connessa a quanto appena esposto era la pratica di fornire alle coppie appena unite in matrimonio un quantitativo di idromele sufficiente per coprire i fabbisogni corrispondenti a un'intera fase lunare, come augurio di fertilità e abbondanza.
Anche presso le civiltà dell'America era presente una forma del nostro protagonista, tra i Maya infatti era diffuso il balché, il cui ingrediente caratteristico era la corteccia di un albero con proprietà psicoattive.
C'è da riconoscere tuttavia che non esiste una scoperta precisa e identificabile di questo prodotto, ma gli studiosi concordano nel sostenere che la sua nascita e diffusione siano connesse con le attività degli uomini primitivi, e il loro legame con le risorse che l'ambiente offriva loro. Da questo profondo rapporto derivò una vera e propria famiglia di bevande alcoliche ottenute da: miele, acqua e lievito fatti fermentare; composti differenti da una zona all'altra o anche da una cultura all'altra.
Le prime testimonianze archeologiche dell'esistenza dell'idromele provengono dalla Cina e si collocano attorno a 9000 anni fa. Anche in una grande e antica cultura come quella indiana è presente; infatti i Rigveda o Rgveda, una delle quattro suddivisioni canoniche dei Veda, contengono la più antica descrizione di questa particolare bevanda.
E' tuttavia la mitologia greca che si è fortemente legata all'idromele: bevanda di eroi e divinità, simbolo di potenza e strumento di connessione col mondo spirituale, essa ha ricoperto poi ruoli di primaria importanza presso le civiltà del Mediterraneo.
Nella cultura celtica del periodo compreso tra il IX e il I secolo a. C. era prodotta e consumata dai druidi (sacerdoti) che dovevano rispettare delle rigide norme e ritualità.
Altri due aspetti simbolici e culturali importanti a cui l'idromele era connesso erano: il culto dei morti e l'essere nomadi. Per il primo punto, come già è stato affermato, il nostro protagonista era il simbolo dell'immortalità, bevanda in grado di connettere l'uomo con il divino e garantire la vita ultraterrena. Essa poi era sinonimo dell'uomo che si sposta e non è legato a una porzione di terra precisa ma si può muovere in territori anche ampi esattamente come le api, in antitesi alla vite, sinonimo di legame con la terra, radicamento e staticità.
Durante il Medioevo l'idromele era una bevanda consumata in sostituzione del vino che poteva mancare per varie ragioni di differente natura: disponibilità economiche, guerre, carestie. Proprio per queste ragioni si diffuse e consolidò soprattutto tra il popolo, mantenendo intatte le sue simbologie connesse alla fertilità e fortuna.
Oggi, anche grazie al lavoro di produttori visionari e colti, caratteristica purtroppo ancora poco diffusa, questo concentrato di storia e gusto è sempre più scoperto, prodotto e proposto. Un modo affascinante per gustare letteralmente il passato ma anche per riproporre alternative interessanti alle più note bevande fermentate, sia sul piano gustativo che su quello culturale.
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