Merluzzo, i mille volti di un pesce.


Quando generalmente parliamo di merluzzo ci sono alcuni errori che, più o meno inconsciamente facciamo, forse a causa della presenza di termini a esso associati che definiscono prodotti sostanzialmente diversi tra loro, oppure per la complessità della storia attorno a questa parola.

Con essa si identifica infatti non un solo tipo, bensì diverse specie di pesci di acque salate che appartengono a generi e famiglie differenti. L'altra forma di confusione ruota attorno alle modalità di conservazione che vengono impiegate e attraverso le quali viene trasformato. Quello che, comunque, appare abbastanza chiaro è il fatto che nel tempo il merluzzo si è inserito in moltissimi territori italiani ed esteri divenendo una fonte importante di sostentamento per generazioni di uomini e donne.

Il proverbio infatti "del maiale non si butta via nulla", è stato declinato lungo i secoli anche per il nostro protagonista, considerato il maiale dell'acqua. Come infatti per l'animale di terra anche per il noto pesce sono diffuse numerosissime preparazioni che ne utilizzano le diverse parti, dalle uova alla lingua.




Non solo un alimento, anche un rimedio contro vari malanni grazie all'impiego, all'interno della medicina popolare, dell'olio derivato dal fegato che, fino al secolo scorso, era ben impresso nella mente dei giovani come rimedio e ricostituente somministrato dai genitori.

I primi a consumare il nostro protagonista furono i Vichinghi che seppero trasformarlo in una vera e propria risorsa: da un lato fonte di sostentamento grazie alla possibilità, opportunamente trattato, di conservarsi a lungo; dall'altro merce di scambio nei commerci.

La sua fortuna in area mediterranea si associa prevalentemente all'immagine di Venezia e, in particolar modo, al 1432, anno in cui Pietro Querini mercante e navigatore italiano, oltre che senatore della Serenissima, naufragò in acque norvegesi. L'uomo rimase impressionato dalla presenza del pesce non solo all'interno della cucina norvegese ma anche in senso fisico nel paesaggio, grazie ai grandi apparati costruiti per consentirne l'essiccazione all'aria. Fu così che, descrivendolo in patria, aprì la strada all'inserimento di un nuovo alimento non solo nella cucina ma, soprattutto, nel sistema culturale.

Il suo successo fu reso possibile grazie alla presenza di due fattori importanti: un elevato numero di giorni durante l'anno in cui, per motivi religiosi, era proibito consumare carne; l'attività dei commerci.

Del primo aspetto ho avuto modo di parlarne già in precedenti approfondimenti, tuttavia desidero ricordare che la suddivisione dell'anno in periodi in cui si poteva consumare carne e derivati e altri in cui erano proibiti era non solo rigida ma anche severamente rispettata, soprattutto dopo le norme stabilite dal Concilio di Trento.

Per quanto riguarda il secondo punto invece, la possibilità di avere un prodotto conservato che rispettasse queste prescrizioni religiose era importante anche per i commerci perché, grazie l'azione del sale o dell'essicazione si poteva spostare anche per distanze considerevoli un bene che, attraverso questi trattamenti, era assolutamente meno deperibile di altri.

Del resto le tecniche di essiccazione e salagione fanno parte di quei metodi di conservazione antichi che l'uomo ha appreso con il tempo e che gli sono stati indispensabili non solo dal punto di vista alimentare ma anche sociale ed economico. Non è un caso, infatti, se le prime notizie dello stoccafisso nel nostro Paese si hanno in corrispondenza dell'epoca normanna in Sicilia. A partire dal Cinquecento circa viene fatta risalire invece l'importazione del merluzzo secco in Calabria da Napoli. In generale, considerando quanto affermato precedentemente, essendo un prodotto a lunga conservazione non deve stupire se la sua diffusione fu particolarmente accentuata in corrispondenza dei grandi porti italiani: Venezia, Genova e Napoli.




Ma che differenza c'è tra baccalà e stoccafisso? La confusione, come ho scritto all'inizio di questo approfondimento, è sempre dietro l'angolo. Il primo è il merluzzo decapitato conservato sotto sale, un elemento che per secoli fu importantissimo non solo per la cucina ma anche per l'economia e i commerci di civiltà e Paesi, determinando a volte anche la ricchezza di un territorio; il secondo invece è essiccato, tale termine deriva da "stocco", elaborazione di una parola olandese che ne indicava la tecnica e anche la consistenza che assumevano, dei veri e propri bastoni.

A fianco a queste doverose precisazioni è utile anche specificare che nel tempo si originarono e svilupparono altre diversificazioni terminologiche o di significato, che erano strettamente connesse alla storia e alle tradizioni delle differenti aree o a determinate influenze culturali e sociali da parte di altri territori. E' ciò che avvenne, per esempio, in Italia nelle zone assoggettate alla Repubblica di Venezia (come la mia città Brescia o Bergamo), in cui lo stoccafisso veniva chiamato "bacalà", parola che permane ancora come residuo dialettale, mentre negli altri territori italiani veniva utilizzato il termine corretto.

Aspetto che non è esclusivo del nostro Paese, un documento interessante di ciò è presente nella prima parte del "Don Chisciotte della Mancia" di Cervantes in cui il protagonista con il fidato scudiero si ferma in un'osteria e:


"Per combinazione quel giorno cadde in venerdì e in tutta l'osteria non c'erano se non delle porzioni di certo pesce che in Castiglia è chiamato abadejo (merluzzo) in Andalusia baccalà, altrove curadillo (stoccafisso) e altrove ancora truchuela (salacchino)".


E non è certo l'unica citazione presente nell'opera, infatti poche pagine dopo lo stesso oste dal quale fu accolto e servito, avendo notato la pazzia di Don Chisciotte e volendola assecondare elenca le sue avventure dell'età giovanile:


"(...) e che lui stesso, negli anni suoi giovanili, s'era dato a quell'onorata occupazione, percorrendo diverse parti del mondo, in cerca delle sue avventure senz'aver trascurato le Pertiche di Malaga (...)"


Il luogo citato infatti era ubicato fuori dalla città e aveva quel particolare nome perché si trasformava e salava il pesce, una ulteriore testimonianza della diffusione delle pratiche di conservazione sopra citate.

In ultimo concludo questo mio viaggio attorno alla storia e cultura legate al merluzzo e alle sue modalità di conservazione citando un'interessante romanzo dello scrittore spagnolo Manuel Vazquez Montalban, pubblicato nel 1995 e intitolato "Riflessioni di Robinson davanti a centoventi baccalà" in cui il protagonista, un vescovo gourmet amante della cucina e del bel vivere, durante le sue peripezie esistenziali e fisiche fa naufragio su un'isola ed è costretto, in un primo momento, a nutrirsi con ciò che la natura gli offre. Un giorno però il mare gli porta sulla spiaggia una cassa con centoventi baccalà così, cercando di accendere il fuoco per poterli cucinare, pensa sulle molteplici possibilità di poterli trasformare, anche grazie alle esperienze gastronomiche fatte negli anni e al ricordo di vari piatti. La riflessione tuttavia associa al tema gastronomico e culinario aspetti riguardanti la cultura del cibo e i suoi significati profondi nella vita dell'uomo, compresi amore e sesso. Un'occasione di analisi particolare se pensiamo dalla materia prima dalla quale è scaturita: un semplice pesce conservato.

Ma il merluzzo, come si è visto, è tutt'altro che semplice perché intriso di storia, pratiche sociali e culinarie ma anche culturali. Oggi, tra l'altro, è divenuto un alimento di pregio richiesto e sempre più proposto. Quest'opera di valorizzazione, conoscenza e divulgazione è fatta da numerose associazioni e realtà italiane e straniere che ne salvaguardano e diffondono la cultura. Un lavoro di gusto e ricerca per scoprire un prodotto ricco, per noi e, soprattutto, la nostra storia!

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