Dai ricettari alla "Massera da Bé", ovvero la donna in cucina.


Il nostro viaggio avventuroso alla scoperta di questo nuovo tema parte da una domanda apparentemente banale: cos'è una ricetta? Se ci limitassimo a rispondere in base alla nostra esperienza avremmo indubbiamente un panorama molto riduttivo. "Ricetta" è un termine di origine medica che trovò il suo impiego per la prima volta in una novella quattrocentesca contenente gli scritti di alcuni cuochi. Da questa iniziale presenza culturale si originarono le prime raccolte di ricette, ma anche consigli e metodi di preparazione degli alimenti, frutto di esperienza della pratica culinaria.
In linea di massima i primi ricettari erano redatti da cuochi e destinati a professionisti del settore; l'opera scritta da Maestro Martino nel XV secolo ne è un esempio ed è fortemente indicativa di come questa tendenza durò per molto tempo. Occorre però precisare che queste raccolte scritte prefiguravano sostanzialmente una cucina ricca, destinata a ceti sociali elevati, che utilizzava materie prime di pregio; l'uomo di fatto era il vero esecutore e detentore della cucina di alto livello.
Una delle caratteristiche salienti dei testi appena descritti era che, poiché destinati esclusivamente a professionisti, non contenevano indicazioni precise sugli ingredienti o sulle modalità di preparazioni e cotture.
A fianco a questa categoria, in realtà, vi era un altro ricettario: quello destinato alla borghesia. In questo secondo caso erano presenti dosi e quantità, tutto era spiegato in modo dettagliato. Come mai? Per rispondere a questa domanda occorre fare una breve riflessione su una delle discussioni che più di tutte ha acceso per molto tempo i dibattiti culinari, ovvero di chi fosse il primato in cucina, se dell'uomo o della donna. In realtà non vi fu mai un dominio assoluto ed insindacabile ma realtà diverse in cui operare.


(Bernardo Strozzi, La cuoca, 1630 - 1640,
Scottish National Gallery, Scozia)


Nel panorama italiano (e non solo) la donna era considerata detentrice di numerosissime conoscenze che però riguardavano il campo domestico. Fu proprio la forte rivalità tra quest'ultima e l'uomo a determinare due destinazioni ben diverse: la prima confinata alle cucine delle famiglie borghesi, il secondo in quelle di alto livello.
Attraverso questa distinzione, quindi, va ricercata la differenza citata poco fa riguardante le modalità di scrittura dei ricettari: le cuoche non erano di certo considerate delle professioniste, pur lavorando al servizio di famiglie di medio livello, era quindi necessario codificare nei minimi dettagli le ricette affinché le loro esecuzioni fossero impeccabili. In  questo ambito il ruolo della padrona di casa era fondamentale nella stesura del ricettario di famiglia e del suo costante aggiornamento. Sono proprio queste forme di scrittura ad essere tra le più importanti oggi, perché definiscono gusti e preparazioni locali che hanno fatto grande il patrimonio culturale e gastronomico italiano.
Tornando però al discorso cardine di questo percorso, bisogna riconoscere che l'archetipo della brava massaia che conosce tutti i segreti della cucina, detentrice di saperi antichi che vengono trasmessi di generazione in generazione non è una novità, ma vecchia di secoli.
La "brava massaia" (Massera da bè ovvero d'abbene), è il titolo di uno dei testi dialettali di matrice bresciana più conosciuti e datato 1554, un componimento di 1781 settenari a rima baciata, composto in dialetto bresciano con influenze bergamasche.
La protagonista è una donna povera che viene dalla campagna bresciana e cerca lana da filare. Così, bussando ad una porta, spiega che offre tutta la sua esperienza, soprattutto in cucina, elencando così le proprie competenze.
La massera è una figura straordinaria, molto particolare: donna che non ha solo i pregi del cuoco (e quindi la sua conoscenza), ma anche i vizi: è golosa, beve vino ed è sopra le righe nei modi di comportarsi.
Ma Brescia non è solo una caso, le massere furono figure ben consolidate nel panorama gastronomico italiano.
Il cuoco delle grandi cucine le snobba affermando che "non ha tempo da sprecare per insegnare alle donne a far cucina".
La presenza di una figura tanto importante quanto controversa, capace di far suscitare affermazioni sprezzanti ma dubbiose negli intenti da parte dei cuochi fa sorgere una domanda fondamentale: esiste una cucina delle massere? Per rispondere dovremmo consultare l'opera "Catalogo de gli inventori delle cose che si mangiano" di Ortensio Lando. Da ciò si può intuire che l'argomento è di fatto più complicato di quanto si pensi perché alle donne era attribuita la prerogativa di essere le inventrici di numerosissimi piatti della tradizione, straordinariamente gustosi. La conferma di quanto affermato ci viene fornita da una poesia di Teofilo Folengo (Mantova, 8 novembre 1491 - Campese, 9 dicembre 1544), uno dei principali esponenti della poesia maccheronica:

"Era brava a fare gli gnocchi belli grassi con le sue mani, e torte e tortelli, e il macco e la muliebre polenta".

In questi termini la cucina della massera è di fondamentale importanza nel consolidamento e diffusione della cucina femminile.


(Joachim Anthonisz Wtewael, 1620 - 1625,
A Kitchenmaid in the background Jesus in 
the house of Mary and Martha, Centraal Museum
Utrecht, Netherlands)


Credo sia importante inoltre dedicare una breve riflessione sull'opera bresciana citata in precedenza. Essa è ascrivibile al cosiddetto sermò, componimento in versi che presumibilmente era destinato alla recitazione. Per la sua struttura e caratteristiche non può essere assimilato del tutto alla letteratura volta alla parodia degli umili e dei villani. Nello specifico, il testo è l' unione di una parte recitativa e una posta sotto forma di dialogo in cui, come ho accennato in precedenza, la massera Flor de Cobiat (Fiore da Collebeato) spiega le sue qualità e le sue doti alla padrona di casa. I tratti caricaturali con cui il personaggio viene descritto collimano spesso con la furbizia di cui è dotata, identificando quindi un personaggio assai particolare, interessantissimo sia dal punto di vista storico-gastronomico che sociale.
Ma cosa differenzia questa dalle altre? E' possibile tracciare un profilo diverso? Appare certo che la protagonista dell'opera in analisi unisce caratteristiche e comportamenti che sono propri a tipologie diverse di massera, una sorta di sommatoria delle caratteristiche, assemblate in una figura sola; peculiarità a volte contrastanti che non collimano in senso concettuale perché sono parti di un puzzle unico.
Il testo non fornisce solo valide informazioni sulla presenza e il ruolo della figura femminile nel panorama culinario italiano, ma descrive in senso più ampio le dinamiche e le caratteristiche del mondo contadino.
La comprensione di questi aspetti può apparire superflua ma è di vitale importanza perché furono tra i fattori fondamentali per la diffusione e il consolidamento di una serie scritta di conoscenze e preparazioni culinarie molto varie, figlie dei territori e delle peculiarità sociali e tradizionali; documenti fondamentali per costruire un pezzo di storia non solo della cucina italiana ma anche e soprattutto di quella tradizionale e, al tempo stesso, capire come e in che misura determinate abitudini siano arrivate sino a noi oggi.

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