Storie e curiosità attorno alla trota.


La trota ha instaurato nel tempo un legame profondo con molte località italiane, soprattutto al Nord. Un pesce la cui carne è apprezzata spesso per la delicatezza rispetto ad altre specie d'acqua dolce. Non è un caso infatti se negli ultimi anni si sono sviluppate varie realtà che la allevano e producono interessanti prodotti derivati dalla sua trasformazione: filetti affumicati, carpacci, tartare, uova, solo per citarne alcuni. Questo pesce ha quindi una storia che si intreccia con quella di numerosi luoghi e con gli uomini e le donne che nel tempo vi hanno abitato.

La trota fa parte della stessa famiglia del salmone e ha circa 100 milioni di anni di storia. Anche gli allevamenti, a dispetto di ciò che si può credere, sono una pratica antica; sebbene il suo habitat sia l'emisfero settentrionale nel tempo è stata introdotta un po' ovunque. Sono simili quindi per certi versi ai salmoni, come essi infatti tornano a deporre le uova nello stesso luogo ma, a differenza di questi ultimi, rimangono in acque dolci.




La sua presenza venne documentata anche a New Messico a metà Cinquecento da alcuni scritti di esploratori europei. La trota iridea è infatti diffusa in alcune aree del Nord America e dell'Asia, non a caso viene anche chiamata trota americana.

Proprio gli allevamenti di cui si è parlato all'inizio dell'approfondimento sembra abbiano un'origine storica riconducibile al XV secolo per opera del frate francese Dom Pinchon artefice della scoperta delle tecniche per riprodurre in modo artificiale questo pesce. Il primo allevamento vero e proprio fu due secoli dopo ad opera di un proprietario terriero tedesco. Negli Stati Uniti la pratica dell' allevamento delle trote cadde in disuso per molto tempo e venne riscoperta solo nell'Ottocento e poi diffusa anche in altri Paesi.

La nostra protagonista ha comunque fatto parte da secoli del regime alimentare di parte della popolazione che si poteva permettere l'acquisto degli esemplari pescati nelle acque dolci dei vari territori. Il loro consumo era associato generalmente ai periodi di magro, durante i quali non era possibile consumare carne e, di conseguenza, il pesce era una valida alternativa. Non è infatti un caso se sono stati scoperti divieti scritti risalenti al XIV secolo inerenti alla sua pesca, pratica riservata ai signori, come del resto lo era la caccia nei boschi. Prerogative che accomunavano numerosissimi territori: dai Monti Sibillini al Monferrato, fino alle zone del Nord e a quelle che rientravano all'interno del governo della Chiesa o, nello specifico, di abbazie che avevano spesso questo pesce come protagonista dei loro sistemi alimentari.


(Gustave Courbet, La trota, 1871, Kunsthaus Zurich)


Non è infatti un caso se nel "Don Chisciotte" di Cervantes il baccalà male ammollato e servito con del pane nero diventa, agli occhi del protagonista, delle gustose (e ben più nobili) trote. Un alimento che rimarrà sulle tavole nobili fino al secolo scorso come dimostrano numerosi documenti, menù e memorie di cuochi al lavoro nelle corti europee. Non è infatti un caso se già prima Bartolomeo Sacchi, detto Platina, umanista e gastronomo italiano del Quattrocento, parlò all'interno della propria opera "De honesta voluptate et valetudine" dei pesci d'acqua dolce e della nostra protagonista.

Nei territori in cui la pesca era permessa e le specie erano presenti in buon numero si è assistito nel tempo alla loro diffusione anche in ricettari di matrice popolare e quindi legati, sostanzialmente, alle risorse che il territorio poteva offrire.

Oggi la trota, dopo un periodo di oblio, sta riscuotendo il successo non solo nei consumi ma anche in programmi locali di tutela e valorizzazione dell'ambiente che hanno come scopo la sua reintroduzione negli habitat naturali, prevalentemente alpini, di cui faceva parte. Un pesce quindi che va riscoperto e apprezzato, un abitatore delle acque dolci e, soprattutto, della nostra storia.

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