Ingordigia, storia di un peccato umano legato al cibo.

Il peccato di gola ha da sempre stimolato la fantasia di scrittori, artisti e registi, sono tantissime a tal proposito le opere di diversa natura che hanno avuto come protagonista questo aspetto spesso ricorrente nella natura umana. Nel corso del tempo è stato spesso sinonimo di elaborazione pregiata e particolare del cibo, che esula naturalmente dalla necessità di nutrirsi e si carica di altri significati che vanno quindi al di là del puro bisogno.
Tutto ciò ha determinato anche la formazione di un legame con gli aspetti della religione connessi al cibo ed all'atto del nutrirsi che sbaglieremmo però a pensare esclusivo della tradizione cristiana ma, al contrario, presente anche in religioni ben più antiche come l'Ebraismo. Nell'esegesi biblica il peccato originale viene interpretato come peccato di gola che si è originato dalla mancata ottemperanza da parte dell'uomo del divieto di consumare il frutto proibito. In riferimento a ciò nel Medioevo si riteneva quindi che il peccato originale fosse stato in sostanza un peccato di gola e proprio attraverso ciò derivarono tutti i mali esistenti.

(Walter Dendy Sadler, I monaci ritornano, seconda metà del XIX secolo)

Sbaglieremmo tuttavia a pensare che fosse un'ideologia strettamente ed unicamente legata alla religione, anche la scienza medica infatti sosteneva che il consumo abbondante di cibi contribuisse a svegliare i sensi ed i desideri peccaminosi. Non solo, si riteneva anche che vi fossero determinati cibi che più di altri potessero contribuire a tutto ciò: alimenti troppo elaborati, grassi, speziati, carni erano spesso sinonimo di lascivia e di tendenza al peccato; non è un caso infatti se per lungo tempo la dieta all'interno dei monasteri fu assolutamente rigida, bisognava evitare infatti quei cibi che avessero potuto risvegliare i sensi dei religiosi distogliendoli così dall'occuparsi della preghiera e dell'anima. Al contrario, la dieta del signore e dei nobili dediti alla caccia ed alla guerra non poteva non contenere abbondante carne che dava forza, coraggio, audacia, irruenza, ideologia questa che fu particolarmente in voga nei primi secoli del Medioevo.
Tutto ciò determinò anche la fioritura di trattati e testi dedicati alle differenti tematiche legate al cibo ed al peccato di gola e a come poterlo fronteggiare efficacemente.
Naturalmente anche nell'arte ha avuto nel corso della storia un posto di rilievo nelle differenti rappresentazioni: tentazioni di santi, allegoria del peccato, punizione nel Giudizio universale, e le punizioni infernali inflitte ai golosi; generalmente associati ad essa erano i maiali ed i lupi, due specie note per la loro voracità.
In realtà però, come già accennato, questa propensione umana ha origini ben più antiche del Cristianesimo, in relazione a ciò anche la sua condanna è antecedente; Aristotele nel suo Etica Nicomachea afferma che i golosi hanno un comportamento da schiavi, non riuscendo a sottrarsi dalle tentazioni del cibo.
Spesso nel corso della storia però gli stessi prelati furono oggetto di critiche e di satira circa la loro condotta o la loro attenzione alla buona tavola, soprattutto i monasteri e le loro abitudini alimentari poco consone alla vita che in essi andava tenuta furono spesso nel corso della storia oggetto di scandalo e forti critiche che si realizzarono anche attraverso le illustrazioni su giornali satirici o le opere d'arte, come ho voluto mostrare con l'immagine che ho posto sopra.

(Hieronymus Bosch, La Gola, da I sette peccati capitali e i quattro novissimi,
1475-1480 circa, Madrid, Prado)

Al tempo stesso il concetto di frugalità veniva associato in funzione al ceto sociale, un nobile non poteva avere di certo la stessa frugalità di un contadino, ai primi infatti solitamente non si raccomandava di evitare il lusso durante il pasto ma la smodatezza.
Sbaglieremmo tuttavia a pensare che la nostra protagonista sia un elemento del passato che poco ha che spartire con il presente, è infatti ancora oggetto di riflessioni, scritti e trattazioni da parte di intellettuali e studiosi. Ferdinando Savater, per esempio, nel suo libro "I sette peccati capitali", Mondadori, Milano 2007, afferma che il peccato di gola oggi non è più mancanza di misura, ma un danno fatto agli altri che non possono accedere al cibo di cui noi abusiamo. Se ci pensiamo bene in queste parole vi è una terribile verità che dovrebbe portare la nostra attenzione a riflettere ulteriormente sulle dinamiche della distribuzione del cibo oggi e come sia possibile che in un mondo che si considera estremamente moderno vi sia chi ha cibo in abbondanza, tanto da gettarlo senza ritegno e logica alcuna, e chi invece non riesce ad avere nemmeno il necessario. Un fenomeno che, badate bene, non riguarda solo luoghi lontani geograficamente da noi ma, a causa delle problematiche economiche in cui versano molti paesi negli ultimi anni (Italia compresa), anche singoli e famiglie che sono sempre più vicini geograficamente ma, troppo spesso, soli.
Una riflessione critica sulla nostra gola e sul consumo eccessivo di derrate alimentari può aiutarci ad arginare tutto ciò, e riflettere sulla storia (anche quella del cibo!) ci aiuterebbe ad invertire le tendenze attuali.

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