Cultura di molti e di pochi, in cucina!

Nella storia dell'uomo, ma soprattutto della cucina e dei prodotti alimentari, hanno assunto nel corso dei secoli importanza rilevante non solo i rapporti tra città e territori limitrofi, ma anche una tipologia di legami che potrebbe definirsi "verticale" perché interna alla società e a cui partecipano i differenti strati sociali, dal basso all'alto. Infatti, contrariamente a ciò che si può pensare, il contributo della cultura popolare nella costruzione del modello alimentare italiano è stato importante; la cucina di molti territori infatti, da Nord a Sud, è ampiamente contaminata da elementi di gastronomia popolare che ribaltano per certi aspetti la frequente ideologia che vuole la separazione nell'utilizzo di prodotti alimentari in base ai ceti.

(Vincenzo Campi, cucina, 1580)
Prodotti della terra come ortaggi ma anche, più comunemente aglio e cipolle, non godevano apparentemente di buona fama presso le classi elevate. In realtà essi sono presenti anche nei ricettari e quindi nelle preparazioni a loro destinate (questi testi erano infatti scritti e rivolti ad un determinato tipo di società), come possono testimoniare per esempio diversi esemplari del Trecento, e di epoche successive.
Maestro Martino, cuoco e gastronomo italiano del Quattrocento, propone ad esempio numerosissime preparazioni a base di erbe, zucche, lattuga, rape e tanti altri prodotti dell'orto; il secolo successivo Bartolomeo Scappi, gastronomo e cuoco alla corte di numerosi cardinali e di Pio IV e Pio V, all'interno della sua opera di cucina traspare che la semplicità delle ricette dei ceti bassi era un vero e proprio punto di forza di cui le preparazioni complicate delle classi elevate di certo non erano in possesso.
Ma non è finita certo qui, non solo prodotti e preparazioni, ma anche l'esperienza di chi vive a stretto contatto con la terra (o il mare) è di vitale importanza nei processi di trasformazione delle materie prime, lo stesso Scappi lo afferma.
Ovviamente è necessario precisare un aspetto importante che ho avuto modo di approfondire in passato attraverso altri articoli, nonostante la presenza e commistione di prodotti, preparazioni e saperi provenienti dai ceti bassi, quelli alti erano tenuti a distinguersi socialmente da quest'ultimi attraverso vere e proprie strategie. Ecco che quindi, in sostanza, prodotti semplici provenienti dall'orto come verdure cotte erano abbondantemente condite oppure abbinate ad ingredienti costosi come spezie o, anche, anziché essere piatti unici come spesso accadeva sulle mense contadine, erano contorni o piatti di accompagnamento a portate elaborate e generalmente a base di carne. Veri e propri stratagemmi dunque per sancire la diversità sociale anche a tavola e ristabilire l'ordine gerarchico.
Va anche ricordato che non tutte le aree geografiche erano sensibili con la stessa intensità alle influenze, di certo quelle del Sud lo erano di più. Ma, per spezzare una lancia anche a favore del Nord va riconosciuto che luoghi che potrebbero apparire saldamente ancorati al modello padano furono in realtà molto aperti a contaminazioni di tipo mediterraneo. Giacomo Castelvetro, umanista e accademico italiano di fine Cinquecento e inizio Seicento, costretto all'esilio in Inghilterra per motivi di fede, scrisse un breve trattato sulla cultura alimentare italiana occupandosi dei prodotti della terra, l'opera infatti si intitolava "Brieve racconto di tutte le radici, di tutte l'erbe e di tutti i frutti, che crudi o cotti in Italia si mangiano" , un esempio significativo e inusuale alla convinzione di molti dell'importanza dei prodotti della terra non solo in cucina ma anche nella cultura dei secoli scorsi.
In flussi culturali, sociali e culinari che mettono in luce la reale complessità della cultura gastronomica dei secoli scorsi, sfatando preconcetti e convinzioni che ancora oggi sono duri a morire!

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