La carne tra storia, cultura e antropologia. Parte 2: il caso del cavallo.

La carne di cavallo ha sempre suscitato nel corso della storia pareri discordanti sull'idoneità del suo impiego per l'alimentazione umana, e non parlo ovviamente dal punto di vista nutrizionale. L'Europa Continentale è la macro-area in cui sono presenti la maggior parte di luoghi e/o Paesi in cui si mangia questo tipo di carne; vi sono anche luoghi però, come il Giappone, dove il suo consumo è stato scoperto recentemente.
I primi tabù relativi a questa carne comparvero con la nascita e diffusione degli antichi imperi del Medio Oriente. Anche i Romani non la mangiavano e durante il Medioevo ne fu vietato il consumo per decreto papale. Solo con la Rivoluzione Francese le cose cambiarono.
Sostanzialmente il consumo di carne di cavallo ha avuto nel corso della storia periodi positivi ed altri negativi.
L'addomesticamento tardo del cavallo fu dovuto con tutta probabilità agli svantaggi legati alla sua nutrizione ad alla capacità di trasformare in energia il foraggio. In sostanza, il fatto che sia un eccessivo consumatore di erba è stato uno dei motivi che lo preservarono dall'essere allevato a scopo alimentare.
Altra motivazione importante è che nei secoli scorsi il cavallo fu un alleato indispensabile per la guerra; l'arma vincente di numerosi eserciti nel corso della storia.
Proprio per la sua importanza per la guerra venne spesso preservato e tutelato, anche con leggi severe. E' in questo aspetto che si inserisce la proibizione che ho citato all'inizio da parte di Gregorio III nel 732 d. C., dopo la quale raramente i cavalli vennero macellati (tranne ovviamente nel caso in cui avessero raggiunto la vecchiaia e quindi l'impossibilità di essere ulteriormente utilizzati).
Nel corso del tempo la situazione si accentuò, con il diminuire infatti delle foreste e soprattutto delle aree adibite al pascolo a seguito dell'estensione delle aree urbane, il cavallo divenne un animale sempre più costoso.
E' necessario anche aggiungere un altro aspetto importante per le riflessioni che sto facendo, nel Medioevo e nei secoli successivi possedere un cavallo divenne un elemento indispensabile per essere considerato un vero e proprio cavaliere; emblematico ed estremamente significativo è il caso di Don Chisciotte e dell'attaccamento al suo vecchio destriero che lui, nella sua immaginazione, vedeva come un cavallo forte e vigoroso. Del resto era anche simbolo di ricchezza e prestigio sociale, non è un caso se i Gonzaga, signori di Mantova, divennero famosi per essere i più grandi estimatori e allevatori di cavalli.
Ovviamente esistevano anche macellazioni "nascoste" di carne equina, soprattutto nei poveri ed affamati ceti bassi. Un altro elemento da aggiungere a quelli esposti è che, con le epidemie e le pestilenze che colpirono tutta Europa nel Trecento e Quattrocento, e la conseguente cospicua diminuzione della popolazione europea, si determinò una maggiore disponibilità di risorse alimentari.
Con lo sviluppo dell'agricoltura il cavallo venne destinato anche al tiro e quindi ai lavori agricoli; l'introduzione del sistema della rotazione delle colture determinò un aumento della produzione agricola e, di conseguenza, della popolazione. Tutto ciò portò ad un vasto fenomeno di emigrazione dalla campagna alla città e accentuò considerevolmente il divario tra ricchi e poveri. Si determinò quindi un aumento del numero di affamati, soprattutto di carne, che ebbe come principale conseguenza l'aumento delle macellazioni abusive. Sono una conferma di ciò le scie di editti reali emessi nel Settecento per confermare e ribadire il divieto al consumo di carne equina.
Come ho già affermato in precedenza con la Rivoluzione Francese il consumo di carne equina aumentò considerevolmente, non solo come conseguenza inevitabile della fame ma anche come atto di rifiuto di quella parte della società, la nobiltà, che voleva essere definitivamente sconfitta, con tutti i simboli e peculiarità che la caratterizzavano, cavalli compresi. Proprio alla fine del Settecento uomini di scienza ed intellettuali divennero il fulcro delle richieste di liberalizzazione di carne equina. Addirittura i sostenitori parigini della carne di cavallo organizzarono attorno al XIX secolo una serie di banchetti, tutti a base di questa carne.
Nella storia recente si è assistito ad un'ininterrotta diminuzione della sua popolarità (e consumo), già a partire dal secolo scorso a seguito di numerosi fattori: diminuzione degli ambiti in cui l'utilizzo del cavallo era prima fondamentale (mezzi di trasporto, lavori di campagna, guerra), aumento del suo prezzo, dubbi sulla sua idoneità al consumo e sulle possibili implicazioni sulla salute umana, permanere della convinzione che fosse idonea solo a chi non poteva premettersi altri tipi di carne (nonostante i suoi prezzi fossero elevati). Infine per quei ceti che fino ad allora furono poveri l'aumento della disponibilità economica e la possibilità di consumare carne che fino ad allora era quasi impossibile, fu un fattore concorrenziale al consumo della carne equina.
Una storia curiosa quindi, fatta di alti e bassi e frutto di influenze sociali, economiche ed antropologiche. Aspetti che oggi si uniscono indubbiamente al fatto che i cavalli sono sempre più considerati animali da compagnia al pari di cani e gatti, quindi sempre più persone in più parti del Mondo sono contrarie alla loro macellazione. Punti di unione e di divisione insomma che caratterizzano non solo la nostra protagonista ma anche molti altri alimenti e che sono l'esempio più lampante di come mangiare non sia sempre e solo un fatto puramente materiale e biologico.

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