La carne e l'uomo: un legame che va oltre l'alimentazione.

Le recenti notizie in ambito alimentare riguardanti la carne mi hanno spinto a fare alcune riflessioni sulla sua presenza nell'alimentazione e nella cultura umana.
La carne è presente nella storia dell'uomo da molto tempo, a partire dalle prime comunità di cacciatori e agricoltori durante la Preistoria. Proprio in questa fase la nostra protagonista ha avuto un ruolo centrale nei sistemi alimentari ma anche (in modi differenti) nelle prime forme religiose. In tal senso, le prime rappresentazioni artistiche (le incisioni rupestri, per esempio) avevano come soggetto principale la caccia. Gli animali  assumevano ruoli diversi: rappresentare pratiche di caccia idealizzate e raffiguranti l'auspicio di un buon esito venatorio,  oppure anche avvenute, documentando così un pezzo importante della storia umana; o infine animali connessi alle prime pratiche religiose.

(Annibale Carracci, La macelleria)

All'interno delle società antiche la carne fu presente in misura assai diversa: nelle civiltà del Mediterraneo essa ricopriva un ruolo marginale nel campo alimentare e culturale, viceversa presso le popolazioni nordiche aveva un ruolo centrale non solo nei modelli di consumo ma anche e soprattutto culturali e religiosi. Il maiale era il protagonista di svariati miti di natura nordica, in cui tra l'altro assumeva un ruolo divino divenendo, come nel caso dell'Edda di Snorri, il cibo ideale per i valorosi guerrieri defunti, la fonte alimentare magica che si rigenerava ogni giorno.
Nonostante quanto appena affermato faremmo un grave errore se pensassimo che in società come quella greca o romana antica la carne non era presente; nonostante infatti la presenza di un modello di stampo fortemente vegetale la carne era presente, seppur in forma minore, nell'alimentazione (e non dimentichiamoci la sua importanza nei vari aspetti alimentari e mitologici).
Il  modello carneo fu esportato, come tutti sappiamo, alla società medievale (soprattutto dei primi secoli) di stampo fortemente carnivoro. Proprio qui essa assunse un forte aspetto sociale e culturale: mangiarla voleva dire appartenere ad un ceto sociale elevato e avere disponibilità economiche. Non solo, il consumo di carne e le pratiche di caccia erano direttamente associate all'ideale del guerriero forte e valoroso e unite dal punto di vista sociale alla "legittimazione del potere". Per capire quanto appena affermato bisogna anche comprendere i canoni della società dell'epoca, un sistema forte, fondato su canoni prettamente carnivori. Non è un caso se non consumarla voleva dire essere ai margini della società; il rifiuto poteva essere imposto o volontario. Per il primo caso occorre considerare che la sua proibizione nei confronti di un soggetto era considerata una pena molto grave; nei capitolari franchi era associata all'abbandono delle armi. Lotario infatti prescrisse nel IX secolo queste due punizioni per quel cavaliere che si fosse macchiato del grave reato di omicidio di un vescovo.
Il rifiuto volontario invece era quello praticato in ambito monastico o dagli eremiti, che rigettavano la società con i suoi piaceri e vedevano nella carne (in accordo con le teorie mediche) una fonte potente di stimolazione della sessualità, caratteristica che mal si conciliava con la vita religiosa.

(Arazzo di Bayeux, part.)

Nei secoli successivi poi, e in forma assai diversa, essa fu per molto tempo un mezzo di distinzione sociale, cibarsene voleva dire avere disponibilità economiche e occupare i livelli alti della società. Il ragionamento fatto è rimasto valido fino a gran parte del secolo scorso: nella società rurale italiana di inizio Novecento mangiare carne era un evento più unico che raro per i ceti bassi!. Questo aspetto è avvalorato da una pratica curiosa: quella da parte degli uomini di uscir di casa con lo stuzzicadenti in bocca nei giorni di festa, per segnalare agli altri che in quel giorno si era consumata la carne anche se, in realtà, non sempre ciò corrispondeva alla verità; questa pratica bizzarra è molto indicativa del ruolo sociale che ebbe la nostra protagonista per molto tempo.
Il fatto poi che risvegliasse i sensi e stimolasse gli "appetiti carnali" degli uomini non era un'idea unicamente medievale, nelle cosiddette "diete degli intellettuali" essa era quasi assente perché era associata all'inattività culturale e considerata una forte fonte di distrazione.
Nell'arte è presente (lo possiamo vedere anche nelle opere che ho inserito) in contesti diversi e con differenti simbologie: documento della realtà, immagine di potere e abbondanza, simbologia religiosa, associazione al peccato e all'inoperosità.

(Monet, Il quarto di carne)

E oggi? A seguito di numerosi fattori quali gli scandali sulle carni contaminate o dannose per la salute, l'assenza (in passato) di tracciabilità ovvero della possibilità di stabilire il percorso di lavorazione della carne, e alcune teorie mediche o ideologiche, il suo rifiuto è diventato un aspetto importante dell'alimentazione odierna.
Sicuramente non spetta a me giudicare cosa sia giusto o sbagliato, o puntare il dito sull'una o l'altra tesi, penso tuttavia che occorre fare alcune brevi riflessioni.
Anzitutto affermare (senza spiegare in modo approfondito la casistica) che la carne è dannosa alla salute ritengo sia assolutamente inopportuno, soprattutto se questi interventi non vengono poi fatti in modo chiaro e marcato anche per altri alimenti che sono molto più dannosi alla salute umana e la cui pubblicità influenza inevitabilmente non solo i nostri gusti ma, cosa molto più grave, quelli dei nostri figli e nipoti. Mi riferisco chiaramente agli snack ed altri innumerevoli prodotti confezionati la cui correlazione positiva all'insorgenza dell'obesità e di malattie ad essa correlate è comprovata da numerosissimi studi a livello internazionale ma che sono troppo poco oggetto di informazione, dibattito e confronto. La dannosità dell'olio di palma, di composti fortemente raffinati, degli zuccheri semplici, dei conservanti, e la lista sarebbe lunga, non è minimamente paragonabile all'ipotetica "dannosità" di una fetta di salame o di prosciutto, soprattutto se questi ultimi la nostra società li consuma molto meno rispetto al passato e indubbiamente meno rispetto alla prima categoria. Occorre essere coscienti che fornire notizie o informazioni senza essere precisi nell'argomentare e nel fornire informazioni è deleterio non solo per l'immagine di una categoria alimentare importante per il sistema economico (soprattutto italiano) ma anche per il sistema culturale e territoriale.
Infine non ho assolutamente nulla contro vegetariani o vegani (che anzi, hanno tutta la mia simpatia e stima culturale) ma credo che prima di fare queste scelte sia fondamentale fermarsi e domandarsi: quanto sappiamo dei cibi che consumiamo? Quanto pensiamo di sapere e invece fraintendiamo? Spesso quando parlo con alcuni amici vegetariani mi vengono opposte argomentazioni inerenti alla dannosità della carne non solo alla salute dell'uomo ma anche a quella del Pianeta.
Nonostante ciò occorre prestare attenzione sul fatto che almeno il 90% delle colture mondiali è costituito da una fetta molto esigua di vegetali (5 o 6) che vengono utilizzati non solo per l'alimentazione animale ma anche in altri ambiti. Tra questi c'è anche la soia, una delle fonti più utilizzate dai vegetariani poco accorti. Se infatti ragioniamo sul piano ideologico e concettuale le vaste colture di questo vegetale sono state create spesso a discapito delle colture locali, con un impatto tutt'altro che indifferente sulla biodiversità, un tesoro prezioso che è fortemente diminuito negli ultimi decenni (con tutte le implicazioni che questo comporta).
Pur ribadendo la mia totale simpatia per i modelli vegetariani credo che il passo fondamentale per fare realmente la differenza sia essere consumatori consapevoli!. Capire i prodotti che abbiamo intorno, apprezzare le eccellenze del territorio e valorizzare i "prodotti di nicchia" che sono sempre meno conosciuti ma che sono straordinari sul piano alimentare, storico e culturale. La conoscenza e la consapevolezza del nostro territorio e delle sue potenzialità fa la differenza, non i luoghi comuni.
E se invece di consumare la soia e tutti i prodotti da essa derivanti provassimo a consumare di più farro, orzo, le innumerevoli varietà di fagioli, lenticchie, ceci, fave (ce ne sarebbero tanti da citare) che hanno fatto parte per moltissimo tempo di gran parte della cultura contadina del nostro Paese e, oltre a esser gustosissimi, sono intrisi di storia e tradizioni?!

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