La sostituzione in cucina, anima dell'economia "dell'arrangiarsi".

L'economia alimentare a cui siamo abituati, è fondata sull'utilizzo spasmodico, quasi convulso, di risorse alimentari maggiore rispetto alle effettive esigenze. Questo si traduce non solo in una grande e vasta circolazione di alimenti e materie prime ma, aspetto ben più rilevante, nella loro superflua presenza sul mercato. Appare quasi scontato che una delle conseguenze maggiori è che gran parte del cibo presente sul mercato di fatto non viene utilizzato. Preciso subito che il mio non vuol essere un atto polemico nei confronti del consumo alimentare odierno, ritengo tuttavia necessario un cambiamento responsabile ed autentico. Perché ho utilizzato queste parole? Responsabile anzitutto perché dovremmo essere più coscienziosi nei confronti delle generazioni future, tutti sappiamo che lo sfruttamento delle risorse anche in ambito alimentare sta generando gravissime conseguenze al nostro Pianeta; autentico perché non basta parlare, bisogna agire.

(Giandomenico Tiepolo)

Eppure se indirizzassimo il nostro occhio alle cucine dei nostri nonni scopriremmo un mondo assai diverso da quello attuale, non parlo solo delle dinamiche di funzionamento ma della sua essenza.
L'economia alimentare dei secoli scorsi era profondamente attenta ad evitare qualsiasi forma di spreco, concentrando la propria attenzione sul riutilizzo dei prodotti lavorati e delle materie prime per differenti preparazioni. Del resto l'arte dell'arrangiarsi, di creare proposte gastronomiche con pochi soldi o risorse è tipica della cucina italiana, di tutte le regioni e di tutti i luoghi. Tempo fa leggendo un sito che parlava di cucina degli ambienti aristocratici rimasi sbalordito nel trovare un pensiero in cui veniva sostenuto che la cucina povera non lasciava spazio alla fantasia, alla creatività e all'espressione del gusto, perché essa  era sinonimo solo di necessità. Penso invece che sia vero il contrario, è proprio dalla cucina dei ceti poveri che è possibile ancora oggi verificare la capacità di adattamento ma anche elaborazione e interpretazione che per secoli sono state compagne fedeli della gente povera. E' proprio dall'unione di queste caratteristiche che si sono generate proposte gustose ma al tempo stesso semplici, perché create con ciò che il territorio poteva offrire.
In questo vasto discorso si inserisce il tema della "sostituzione", ovvero utilizzare un prodotto al posto di un altro semplicemente perché maggiormente accessibile (sia dal punto di vista economico che climatico-ambientale). Questa fenomenologia si è espressa in numerosissimi casi e varianti ed è stata determinata da differenti fattori.


(Mathias Stomer, il Mangiamaccheroni)

Si può tranquillamente affermare che ogni variante territoriale e locale è frutto di una storia, di esigenze diverse e di cause diverse.
La guerra e i periodi post-bellici hanno sempre determinato non solo povertà, ma anche penuria alimentare; inoltre bombardamenti, le derivanti crisi economiche e le limitazioni imposte da alcuni Paesi ad altri, hanno accentuato questo fenomeno. Se pensiamo agli anni della Seconda Guerra Mondiale (e successivi), in molte località il caffè era un privilegio che non tutti potevano permettersi, il caffè di cicoria (variante usata anche nei secoli precedenti) era un'alternativa economica e pratica a questa bevanda tanto di moda, lo stesso vale per la cioccolata che era vista non solo come simbolo della modernità e di benessere, ma anche della ricchezza del popolo americano.
Come ho già scritto, la povertà è stata uno degli elementi più significativi in questo ragionamento, essa ha determinato un legame più stretto con l'ambiente circostante e la natura, che si realizzava attraverso l'utilizzo di prodotti semplici trovati nell'ambiente e cucinati, lavorati e trasformati con la finalità di massimizzarne la resa.
Di contro, tra i ceti bassi vi era il desiderio di emulare i ricchi, e questo si esprimeva anche in cucina. Preparazioni come la tinca al forno (ripiena), gli uccellini allo spiedo, le torte salate farcite di erbe, e tanto altro, avevano la finalità antropologica di avvicinarsi concettualmente alle preparazioni dei ceti elevati, fatte di carni come i volatili ripieni ed arrostiti, la cacciagione di media/grossa pezzatura cotta allo spiedo e anche le ricche torte salate con farciture opulente per ingredienti e dosi (chiaramente in tempi e modi diversi).
La tradizione povera bresciana, per esempio, prevedeva l'inserimento nel ripieno che poi veniva impiegato in vario modo, dei semi della mela essiccati che venivano tenuti da parte ogni volta che si consumavano questo frutto perché conferivano un gusto particolare alla preparazione; questo è un esempio di "far di necessità virtù"!.
Tutto ciò poteva essere dettato anche da carestie, epidemie, raccolti pessimi e calamità naturali, a tal proposito nel XIII secolo Fra' Salimbene da Parma ci testimonia attraverso i propri scritti di come la popolazione durante una violenta carestia, si limitasse a confezionare le tradizionali torte salate povere (progenitrici dell'odierno erbazzone) utilizzando unicamente la pasta, senza ripieno.

(D. Velazquez, Il pranzo)

Nella storia italiana però la sostituzione è stata anche una delle caratteristiche fondamentali di una parte del regime fascista, sia per sopperire alle sanzioni economiche attuate dagli altri Paesi nei confronti dell'Italia, ma soprattutto per accendere nell'animo degli italiani la predilezione per le prelibatezze prodotte nel circuito nazionale e quindi incentivare l'economia interna. In questa logica, molti dei prodotti provenienti da altri Paesi e in particolar modo le mode alimentari americane, vennero sostituiti da prodotti con nomi italiani e i cui componenti erano materie prime esclusivamente italiane (chiaramente questo aspetto è assai complesso, mi limito tuttavia ad accennare in questa sede solo queste curiosità per non dilungarmi troppo).
Il tema appena analizzato si ricollega idealmente all'analisi fatta nella prima parte: la sostituzione che non è solo necessità, ma attraverso quest'ultima e grazie all'ingegno umano, muta in capacità di dare piacere fornendo quindi anche una proposta gastronomica piacevole. La cultura gastronomica su cui si fondano le innumerevoli varianti regionali e territoriali tipicamente italiane si fonda proprio su questo. Fortunatamente oggi si sta prendendo sempre più maggior coscienza di questo importante aspetto non solo alimentare ma anche culturale. La sostituzione non è quindi solo una furbizia umana ma, attraverso la capacità di ingegnarsi, è cultura e sapere e, non da ultimo, compagna fedele del genere umano sin dalla Preistoria.

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