Cucine Reali: il Castello di Racconigi.

Spesso può accadere che una semplice visita guidata si trasformi in un'esperienza entusiasmante, capace di far vibrare sentimenti, fantasia e voglia di approfondire. La mia passione per la storia oltre che per l'arte (e la cucina, naturalmente), mi spingono spesso a visitare musei, mostre, ville e palazzi. A volte questi aspetti possono coincidere, regalando così emozioni uniche, e assolutamente interessanti. E' quello che successe alcuni mesi fa quando visitai in Piemonte il Castello di Racconigi.
Una dimora straordinaria che nacque nei primi secoli del Medioevo e poi si evolse e mutò aspetto nel corso del tempo. Citato per la prima volta in alcuni documenti datati 1194, fu per diverso tempo un polo importante dal punto di vista militare. La prima trasformazione avvenne nel Seicento ad opera di Emanuele Filiberto Amedeo a cui susseguirono modificazioni successive che stravolsero l'aspetto originario del castello. Queste si estesero anche al secolo successivo coinvolgendo anche gli interni che vennero decorati ed arredati con gusti assai diversi.
Nel 1832 Carlo Alberto inserì questa dimora nell'elenco delle Reali Villeggiature, divenendo così, in sostanza, una dimora estiva.
La mia visita a questo meraviglioso palazzo ha compreso, per mia grande gioia, anche le grandi cucine. Per parlare di questi ambienti bisogna fare però alcune premesse importanti.


La cucina di nobili e monarchi (come tutti sappiamo) era assai diversa da quella del resto del popolo; vi sono alcuni elementi caratteristici importanti che non vanno sottovalutati. Anzitutto il consumo di carne, sempre molto elevato e proveniente da animali diversi. Spesso era presente anche la selvaggina, soprattutto nelle residenze di caccia (la maggior parte nel Medioevo e nei secoli successivi, a dir la verità), o quelle munite di parco dove l'arte venatoria era riservata al monarca o a pochi eletti. La famiglia dei Savoia era una vera appassionata di caccia, lo testimoniano i vari casini sparsi per il territorio, i trofei nei castelli e anche, se si osserva bene, la cucina. In quella di Racconigi, per esempio, sono presenti e visibili tutt'ora locali separati per lo stoccaggio, pulitura e dissanguamento degli animali sia a piuma che a pelo, cacciati nei territori limitrofi.
Oltre a ciò, com'è la cucina? E' possibile tracciare una sorta di filo conduttore che unisca le cucine aristocratiche europee?! Sebbene esse, per la verità, differiscano molto in alcuni tratti, vi sono degli elementi condivisi che meritano la giusta analisi. Anzitutto qual era l'ubicazione delle cucine rispetto al corpo del castello? Il caso di Racconigi può fornire un esempio significativo, generalmente esse erano disposte nei sotterranei e quindi in aree che consentissero alcuni importanti vantaggi: da un lato grazie a questa ubicazione esse rimanevano più fresche, dall'altro vi era la necessità di limitare l'impatto di rumori e odori derivanti dal lavoro in questi locali. Non bisogna dimenticare inoltre che erano ubicate anche, per chiare questioni di comodità, in zone in cui vi era un più facile accesso ai mezzi di rifornimento delle derrate alimentari e, di conseguenza, ad entrate secondarie al castello. Questi sono gli elementi che, in linea generale, possono idealmente unire le varie cucine dei palazzi della nobiltà europea.
Quello che viene spesso da domandarsi ad osservare ciò è come arrivassero i piatti agli appartamenti reali? Non tanto il percorso fisico che essi potevano compiere, quanto il fatto che essi potessero arrivare quasi freddi. A tal proposito leggendo differenti libri, ma a volte anche ascoltando alcune opinioni (errate) di professori di istituti alberghieri o corsi di cucina, si pensa che i monarchi o comunque i proprietari di palazzi come quello da me visitato fossero di fatto avvezzi a consumare cibi quasi freddi, idea assurda se ci pensiamo!. Fornisco un esempio della mia tesi con l'esempio che porto nell'immagine qua sotto.



Il soggetto di questa fotografia altro non è che uno scaldavivande trasportabile, antenato di quelli che ancora oggi vengono utilizzati in tutti i ristoranti. Come si può notare, nella parte inferiore venivano posti i carboni caldi e negli altri livelli i piatti che, grazie al calore, rimanevano caldi lungo tutto il tragitto che li separava dalle bocche reali. Occorre considerare tuttavia che l'attrezzo presentato era presumibilmente di matrice ottocentesca o inizio Novecento, periodo in cui iniziò a diffondersi la modalità di servizio delle vivande "all'italiana", ovvero già suddivise in porzioni.
Ma come era strutturata la cucina destinata a ceti elevati? Difficile rispondere a questa domanda, le differenze tra le cucine dei castelli di matrice italiana ed europea (soprattutto francese) sono abbastanza consistenti. Sicuramente però vi era una metodica suddivisione degli spazi produttivi, indicazione presente già secoli prima nel trattato di cucina di Bartolomeo Scappi, XVI secolo. Nell'ampio spazio destinato alla cottura di gran parte delle vivande era posto generalmente l'impianto della stufa, attorniato da tavoli di preparazione ed altri macchinari atti alla cottura. Nello specifico la cucina del Castello di Racconigi costituisce un caso molto curioso.


Come è possibile notare dalle fotografie, non vi sono impianti di aereazione per catturare i fumi derivanti dalla combustione della legna. Come mai? In realtà l'ingegno umano spesso è insuperabile, la grande stufa aveva condotti di aereazione posti in basso che, attraverso appositi tubi collocati nel pavimento (che ancora oggi visitando gli ambienti le guide fanno notare!) garantiva l'espulsione di questi ultimi all'esterno. Non solo, grazie alla presenza di un boiler posto in alto vicino a questi condotti e sopra alla macchina dello spiedo, era possibile scaldare l'acqua che poi veniva fatta fluire in prossimità della stufa centrale, in questo modo i cuochi avevano già l'acqua calda a disposizione, non lo trovate geniale?!
Ho parlato in precedenza della suddivisione degli ambienti di cucina in aree di produzione e trasformazione assai diverse le une dalle altre. Occorre ricordare infatti che durante la permanenza dei regali ospiti o in specifiche occasioni, come feste o banchetti, le cucine erano veri e propri centri di produzione dove non solo si cuocevano gli alimenti ma si preparava il pane, i dolci freddi, i derivati del latte, si macellavano gli animali e, ovviamente, si stoccavano le merci.



Nella foto inserita qua sopra si può osservare quanto appena affermato: da un lato è pronto il burro appena ottenuto dalla zangolatura della crema di latte, accanto la farina e le uova per produrre la pasta fresca. Già Scappi raccomandava nel suo trattato di effettuare lavori simili in ambienti più freschi, al riparo dal caldo delle cucine che avrebbe rovinato o compromesso il risultato finale.
In altri articoli ho avuto modo di analizzare come anche i metodi di cottura fossero fortemente indicativi dello status sociale (questo soprattutto durante il Medioevo). Secoli dopo, la nobiltà presente al Nord Italia prediligeva ancora gli arrosti e le differenti carni cotte allo spiedo.



Così, presenza immancabile in ogni cucina di palazzi e castelli, la macchina dello spiedo è meravigliosamente incastonata anche nella cucina della Reggia di Racconigi. Qui le carni venivano disposte a seconda della pezzatura e quindi del tempo necessario per cuocere, un sistema di piccole ruote e catenelle consentiva solitamente a questi apparecchi di muoversi da soli, per evitare che un garzone fosse costantemente impegnato a farli ruotare. Tra l'altro, curiosità che vi voglio accennare in questo articolo, il grande Leonardo da Vinci elaborò per primo il sistema di movimento di questi sistemi attraverso ingranaggi e contrappesi. Nella foto è possibile notare anche una barriera in ferro entro cui erano disposti i tizzoni ardenti che servivano a cuocere molto lentamente le carni.



Così, per una nobiltà così tanto legata al consumo della carne, specialmente se si parla dei Savoia, appassionati cacciatori, non poteva di certo mancare nella "real cucina" la griglia, per cuocere i migliori tagli della carne piemontese.
Il castello però fu anche un esempio di innovazione e modernità. Questo si può capire non solo osservando i vari ambienti della cucina ma anche perché fu una delle prime strutture dotate di elettricità. Ciò ebbe ripercussioni positive non solo per quanto riguarda l'illuminazione dell'intero complesso ma anche, inevitabilmente, sul lavoro di cucina. Agli inizi del Novecento il palazzo fu dotato infatti di modernissime celle di conservazione delle derrate alimentari, importantissime non solo per l'organizzazione del lavoro, lo stoccaggio delle materie prime e tutte le preparazioni di pasticceria, ma, se si considera quanto ho affermato in precedenza, l'istallazione di queste nuove apparecchiature fu fondamentale per uno stoccaggio più efficiente della cacciagione che non solo poteva essere così lavorata in un secondo momento ma, cosa più importante, subiva processi di frollatura più controllati.



Inoltre, l'inserimento all'interno delle celle refrigerate di rivestimenti in ceramica ne facilitava i lavori di pulizia e sanificazione, un bell'esempio di modernità!.
Così una semplice visita può essere non solo un tuffo nel passato, ma una testimonianza viva e concreta di alcuni degli aspetti di cui parlano spesso i testi di storia della cucina e il mio blog. Visitare questi posti vuol dire anche, in un certo senso, prendere coscienza del patrimonio culturale anche in ambito gastronomico, dell'enorme ricchezza che può esser presente in ambienti che un tempo erano destinati esclusivamente al lavoro.
Ma tutto ciò è a mio parere anche e soprattutto un documento vivo di un pezzo di storia alimentare del nostro Paese e una fonte di ricerca e studio inesauribile ed avvincente!.




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