Il vino nella storia, parte III : il mondo romano.

E' nella cultura romana che il mondo del vino si amplia in tutti i sensi: culturale, tecnico, religioso e legislativo.
Nonostante tutto ciò, in un primo momento la viticoltura ed enologia romane erano assai modeste, soprattutto se paragonate a quelle greche. Tuttavia esse poterono contare, con modalità e risultati diversi, sull'operato dei Greci per quanto riguarda il Sud d'Italia e su quello degli Etruschi per il Centro (anche se questi ultimi non erano affatto degli ottimi viticoltori).
Dopo questo inizio decisamente sottotono, la viticoltura divenne ben presto una tra le coltivazioni più praticate. A tal proposito Marco Porcio Catone (234-149 a.C.), poneva la vigna come la prima, per importanza, delle colture della penisola.; la sua opera "De Agricoltura" è la prima in prosa che ci sia pervenuta in lingua italiana, elemento di rilievo che indica come la viticoltura pesasse sull'economia agraria italiana del II secolo a.C. .
Il primato della vigna accrebbe col tempo e con lo svilupparsi della civiltà romana. L'importanza che Catone attribuisce alla vite e all'olivo è il segnale di come l'agricoltura romana passò gradatamente da una finalità di sussistenza ad una volta al commercio.

(mosaico in tomba romana)

Dopo che la Grecia nel 146 a.C. divenne una provincia di Roma, per la viticoltura romana cominciò un periodo di grandi successi, che fu anche caratterizzato dall'apparizione dei primi grandi vini italiani.
Ciò che le permise di ampliarsi ed estendersi ad altri territori, sovrastando di fatto altre colture, fu la scelta di puntare sulla quantità, allargando il consumo anche ai ceti bassi e persino agli schiavi.
Aumentare la produttività fu uno dei temi più trattati da scrittori come Varrone, Catone, Columella e Palladio.  Mentre la tradizione annoverava come i vini migliori quelli dell'Egeo e greci in generale, Plinio scrisse che fin dalla prima metà del I secolo a.C. i vini d'Italia avevano ugual fama ed anzi, in alcuni casi erano preferiti.
Nonostante il numero di questi vini (dalle fonti) sia confuso, è molto più documentata la loro qualità: egli pone al primo posto cinque vitigni dell'Aminea, al secondo due della vite a fusto rosso di Nomentum e al terzo posto la vite di Apianea.
Oltre a Plinio fu Strabone (63a. C.-21d. C.) che fornì un resoconto completo della distribuzione della viticoltura nei paesi mediterranei. Fu anche il primo che diede indicazioni sulla conservazione del vino attraverso le botti, fatta in territorio alpino, e che esse erano riscaldate durante i lunghi inverni per evitare il congelamento.

(raccolta dell'uva, mosaico arte romana)

Questa curiosità è importante perché ci fornisce indicazione di come il vino fosse in espansione non solo verso Sud ma anche al Nord.
Parlando di espansione e di terre influenzate da questa coltura, è l'odierna Campania la zona più fortunata per il vino, qui si sono generati ma anche commercializzati i vini più importanti dell'Italia antica. Orazio nomina i quattro vini più nobili : cecubo, caleno, falerno e formiano. Secondo lo scrittore il falerno era il migliore del suo tempo; il cecubo proveniva dagli estremi confini del Lazio e della zona di Napoli vi era il cumano e il trifolino. Altri vini pregiati erano: tarentino e mamertino, quest'ultimo prodotto nei pressi di Messina, introdotto e fatto conoscere da Caio Giulio Cesare. Vicino a Roma vi erano: albano, sabino e varientano. Questi sono alcuni nomi dei vini considerati pregevoli in territorio italiano.
L'importanza del vino non era però solo all'interno del nostro Paese ma anche fuori, nelle terre conquistate. Questo fu reso possibile grazie anche e soprattutto alla volontà della civiltà romana di dimostrare che l'uva poteva crescere e fruttificare anche nelle zone settentrionali o comunque poco favorevoli alla viticoltura.
Per quanto riguarda l'aspetto antropologico, tutto ciò che riguarda la vite e il vino era carico di simbologie e rituali, molti dei lavori che venivano fatti alla vite erano regolati da riti specifici: la vendemmia per esempio era uno dei riti più importanti; al flamen dialis, una sorta di  cerimoniere rituale, spettava il compito di bandirne l'avvio.
Per quanto riguarda la sua conservazione (come è già stato approfondito in altri post), erano le botti o contenitori in terracotta le due tipologie preferite. Quando veniva conservato attraverso il primo mezzo il luogo di conservazione era il solaio o fumarium, locale dove arrivavano i fumi derivanti dagli usi domestici. Il fumo e il calore acceleravano il processo d'invecchiamento del prodotto, così vini che erano di fatto giovani avevano un gusto "invecchiato".
Questa tipologia di vino riscontrò molta fortuna specialmente in età imperiale, mentre quello invecchiato naturalmente era più difficile da reperire sul mercato.

(anfore manifattura romana)

Dalla fine del I secolo a.C. la richiesta di vino da parte dei ceti poveri subì un aumento così elevato che il mercato rispose con vini scadenti.
Nelle tabernae, locali frequentati dai ceti bassi, esso era contenuto in recipienti murati al bancone ; ovviamente era stemperato con acqua e addizionato con miele e aromi. Data la scarsa qualità i casi di frode e annacquamento erano molto frequenti. In inverno vicino al bancone , su un fornello, si teneva un grande recipiente pieno d'acqua  bollente con cui mescolare il vino per ottenere una bevanda calda.
Diverso era il vino ad uso domestico delle case dei ricchi: prima del pranzo veniva servito il mulsum, mosto mescolato con miele a cui seguivano poi, durante il pasto, vini diversi e diluiti.
I vini prima di essere serviti venivano filtrati in giunchi o nei "sacchi vinarii", composti da tessuto di lino e intrisi di oli essenziali. Un'altra filtrazione avveniva a tavola con colini metallici.
Durante i banchetti esistevano appositi crateri contenenti acqua, indispensabile per miscelare il vino.
La decisione della proporzione tra i due veniva presa dall'arbiter, scelto tra i commensali.
Per prelevare il vino e servirlo nei calici vi erano vari utensili: simpulum, mestolo a manico lungo usato per attingere da crateri molto profondi, che fu presto sostituito dalcyathus, tazza con un manico che permetteva di attingere senza bagnarsi le dita; olpe, equivalente della caraffa odierna e l'oinochoe, evoluzione dell'olpe  con imboccatura  a orlo trilobo.

(preparazione del vino, mosaico romano)

Con la crisi del basso impero la qualità dei vini italiani cominciò a diminuire e la Spagna divenne ben presto la maggior produttrice. La coltivazione della vite secondo Columella stava via via peggiorando , divenendo approssimativa. Tra le molteplicità di fattori incorsi bisogna ricordare che, sotto certi aspetti, fu proprio lo sviluppo più ampio della viticoltura in Occidente e Oriente a determinare una stasi in Italia.
I vari tentativi fatti per migliorare la situazione non furono efficaci. Questo fino all'intervento di Domiziano che emanò un editto per disciplinare la produzione agricola in tutti i territori assoggettati a Roma. Le invasioni barbariche e la cultura dei popoli del nord contribuirono enormemente a determinare la situazione vinicola pessima italiana, facendo calare quantità e qualità.
La produzione vinicola subì nuovo impulso grazie all'opera degli ordini monastici nei primi secoli del Medioevo, ma questo sarà oggetto di analisi della successiva avventura.

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