Mangiare le rane

Dal 24 aprile 2014 al 3 maggio 2014 si svolge a San Ponso (Torino) la "sagra delle rane" e dal 24 aprile al 27 aprile 2014 a Fermignano (Pesaro Urbino) si svolge il "palio della rana".
Questi due eventi che hanno come denominatore comune la rana mi fanno pensare, direi inevitabilmente, al ruolo che ha avuto e che ha questo anfibio nel mondo gastronomico.
Come accade per molti alimenti, il fatto di utilizzarli in cucina era legato, nei tempi passati, più al soddisfacimento del bisogno di nutrirsi che al puro atto gustativo e culinario. Il bisogno di riempirsi la pancia  ha sempre spinto i ceti più poveri ad utilizzare ciò che l'ambiente circostante poteva offrire loro, le rane ne sono un chiaro esempio.
Nell'Alto Medioevo in Francia e in Italia la loro pesca e consumo erano concesse ai contadini. Questo aspetto è significativo perché è la dimostrazione di come alcuni alimenti fossero appannaggio esclusivo dei nobili ed altri dei ceti poveri: consentire il consumo delle rane a questi ultimi aveva la stessa valenza del consentire la caccia alla piccola cacciagione. I boschi e le aree verdi erano di proprietà dei nobili, a loro spettava la caccia di animali di media e grossa taglia e il dominio di tutte le specie presenti, in virtù di ciò permettere ai propri affittuari o comunque ai contadini di consumare piccoli animali era considerato un gesto di magnanimità. Lo stesso discorso può e deve essere fatto per la caccia agli uccellini che nel territorio di Brescia, Bergamo e in alcune zone del Veneto venivano consumati cotti allo spiedo.
La sussistenza o, per meglio dire, il bisogno di sfamarsi, sono il motore di tutti questi "atti gastronomici" che permisero nel corso dei secoli a molte generazioni povere di sopravvivere.

(Paolo Porpora, 1617-1673, natura morta con un serpente,
rane, tartaruga e una lucertola)

Inizialmente però questo animale aveva una valenza negativa perché era legato alla stregoneria, il liquido sabbatico indispensabile per i sabbath delle streghe, aveva tra gli elementi costitutivi le secrezioni prodotte da alcune specie di questo anfibio che avevano proprietà allucinogene; solo successivamente la rana divenne una risorsa preziosa per il mondo contadino.
In passato le rane si credeva nascessero dalla terra fecondata dagli acquazzoni estivi oppure dalla pioggia del cielo.
Il loro gracidare era visto come una lode a Dio, interromperlo equivaleva a ritardare la liberazione di un'anima dal purgatorio.
Ritornando all'argomentazione iniziale, bisogna affermare anche come la presenza di alcuni animali sia correlata ad alcune attività umane. L'uomo, attraverso le pratiche agricole o più in generale ambientali, ha da sempre consentito la diffusione di determinate specie animali e vegetali ma al tempo stesso ne ha determinato la scomparsa di altre, questo discorso vale per la nostra protagonista.
I piatti a base di rane sono caratteristici infatti delle località dove sono presenti le risaie: Veneto, Lombardia, Piemonte. E' chiaro infatti come la presenza dell'acqua per questa coltura sia un fattore che ha favorito molto, nel corso dei secoli, la diffusione di questo anfibio e il suo conseguente consumo da parte dell'uomo.
Il ragionamento fatto merita deroghe per alcuni territori in cui, pur non essendo presenti risaie, la caccia e il consumo delle rane erano molto frequenti: mi vengono in mente il territorio del parmense che con i propri ruscelli, corsi d'acqua è da sempre stato un ambiente favorevole. Questa attitudine è documentata da alcune opere, anche di artisti moderni, che documentano (non senza sarcasmi) il consumo delle rane.

(Enrico Robusti, mangiatore di rane, 2002)

Anche la cattura era influenzata dalla tradizione: in Lombardia si consigliava di catturare le rane nei mesi il cui nome conteneva la lettera R. A tal proposito anche nel Lazio e in altre regioni esistevano uomini il cui lavoro era quello di pescare le rane, i ranocchiari venivano chiamati. Queste erano poi portate alle donne che le vendevano alle piazze del mercato.

(pescatori di rane)

Il consumo della rana è documentato anche nel centro Italia se pensiamo alla presenza in Toscana della "sagra della ranocchia chianina".
Questo animale anche in tempi moderni è stato il mezzo per salvare molte persone dal laccio della fame: considerate ottimo approvigionamento di proteine, in tempi di guerra e nel dopo-guerra e fino al boom economico permisero di sfamare molte generazioni povere che avevano poche materie prime da poter mettere in tavola e ancor meno fonti proteiche.
Oggi il consumo di questo prodotto è andato diradandosi diventando un alimento per estimatori o critici golosi; cosa direbbero le nostre nonne della nostra riluttanza a consumarle?



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