Immersi tra un cin e l'altro


Il cenone di San Silvestro si avvicina e, di conseguenza, anche i vari brindisi che tutti noi faremo o a cui parteciperemo. Questo articolo è dedicato proprio a questo atto che ha coronato o che coronerà gli avvenimenti più importanti (piccoli e grandi) della nostra vita.
Poiché il mio blog non ha solo l'intento di guardare al mondo alimentare attraverso l'occhio dell'arte ma anche e soprattutto delle tradizioni e degli avvicendamenti storici, la mia analisi verterà proprio su questi ultimi aspetti.
L'atto del brindare è una tradizione antica consolidata già prima dell'avvento di Greci e Romani.
Le prime testimonianze le troviamo nella Bibbia in due libri: Ester (1- il banchetto regale, 7-8) "Si porgeva da bere in vasi d'oro di forme svariate e il vino del re era abbondante, grazie alla liberalità regale. Era dato l'ordine di non forzare alcuno a bere, poiché il re aveva prescritto a tutti i maggiordomi che lasciassero fare a ciascuno secondo la propria volontà"; Abacuc (2-15) "Guai a chi fa bere i suoi vicini versando veleno per ubriacarli e scoprire le loro nudità". Come si evince da quanto riportato sopra fin dal principio la tradizione del brindare è stata strettamente legata al banchetto e alla convivialità.
Successivamente nei banchetti dell' antica Grecia (simposi) era presente il simposiarca che sovrintendeva alla preparazione delle bevande e all'argomentazione dei brindisi, dedicati a inneggiare i presenti o donne amate.
Nell'antica Roma era un uso consolidato che viene anche documentato, tra l'altro, da autori molto conosciuti.
Marziale, il primo, testimonia un uso singolare: bere tanti calici quante erano le lettere che componevano il nome della donna amata "Cinque bicchieri si bevano per Levia, otto per Giustina, quattro per Licia, e quattro anche per Lide e per Ida tre. Tanti bicchieri siano per ciascuna, quante sono le lettere del nome, e poiché nessuna d'esse viene, o Sonno, vieni almeno tu da me" ( Valerio Marziale, Epigrammaton Libri, 71). Il secondo autore che documenta la ritualità del brindisi è Cicerone "Allora Rubio invita i compagni di costui, i quali furono da Verre informati tutti di quanto era necessario che facessero. Essi vi arrivano per tempo e tutti si pongono a sedere. Ora ecco che, avviata la conversazione, si invitano l'un l'altro, che a bere secondo il costume greco. L'ospite li esorta a farlo: essi domandano che sia loro dato da bere nelle maggiori tazze, e così quel convito fu celebrato con somma letizia e festosi motti di ciascuno (...)" (Cicerone, Orationes, In Verrem li 1, 66). Da questo brano si capisce come le tradizioni greche siano penetrate nella cultura romana condizionandola enormemente, e questo vale anche per il tema che stiamo trattando.
Alle origini del Cristianesimo la tradizione del brindare venne utilizzata per celebrare e onorare la memoria dei santi e dei martiri. Successivamente, nei primi scoli del Medioevo, questa usanza subì un declino. Nel clero e, successivamente, nella società si diffuse sempre più la convinzione che questo atto fosse sinonimo di basso livello sociale ma, soprattutto, morale. Troviamo un esempio di quanto affermato nello scritto "Cronica" di fra Salimbene da Parma (Parma 9 ottobre 1221 - San Polo d'Enza 1288) in cui, criticando il modo di agire di Federico II di Svevia, nella dissertazione circa i suoi comportamenti negativi è inserito anche il nostro protagonista, considerato un'abitudine negativa tipica dei popoli nordici che un buon cristiano non doveva possedere.
Gli atteggiamenti negativi da parte del clero permasero anche per tutto il XVI secolo come testimonia la citazione che segue tratta da uno scritto di Giovanni Dalla Casa (Arcivescovo di Benevento; Borgo San Lorenzo 28 luglio 1503 - Roma 14 novembre 1556) "lo invitare a bere (...) è verso di se biasimevole e nelle nostre contade non è ancora venuto in uso sii che egli  non si del fare e se altri inviterà te potrai agevolmente non accettare lo 'nvito e dire che tu ti arrendi per vinto, ringraziandolo, oppure assaggiando il vino per cortesia senza altramente bere". Successivamente, alla fine del XVI secolo il brindisi iniziò a non destare più alcuna reazione negativa, consolidandosi così nella ritualità popolare e arrivando fino ai giorni nostri.
Ma qual è il significato del nome? Da cosa deriva questa gestualità? La denominazione deriva dal "brindar" spagnolo che a sua volta deriverebbe dal tedesco "bringe dir" ovvero "ti offro", espressione fluita dai lanzichenecchi alle truppe spagnole.
Il termine poi "prosit" in uso presso alcuni paesi del Nord Europa deriva dalla lingua latina (verbo prodesse , "giovare", terza persona singolare del congiuntivo presente), che letteralmente significa "sia di giovamento". Questa formula era tipicamente usata in chiesa quando il sacerdote terminava la messa.
Altro termine arrivato fino a noi ( e tra l'altro ancora diffusissimo anche in Italia) è "cin-cin", di origine cinese e più precisamente degli abitanti della costa di Canton venne poi introdotto dai marinai europei nel nostro continente. Pare che a fare ciò siano stati gli ufficiali britannici. L'espressione originale è "ch'ing ch'ing" (prego prego) poi mutata in  "chin chin" dai naviganti e dai commercianti soprattutto in Età vittoriana.
Il termine fu subito ben accolto nella lingua italiana perché onomatopeico: riporta immediatamente al suono dei calici o bicchieri che tintinnano tra loro. Nella lingua cinese in uso oggi "ch'ing ch'ing" significa bacio, metaforicamente potremmo dire che il tocco dei bicchieri è il bacio che ci si scambia in onore di qualcosa o qualcuno, bevendo in compagnia di amici.
Diverso è poi il significato di questa gestualità nell'antichità, durante l'Impero romano pare infatti che l'usanza di urtare i bicchieri o i calici fosse dovuta al fatto che permetteva, grazie allo scambio di piccole parti di liquido dovuto all'urto, di evitare congiure e assassini.
Sempre presso i romani il brindisi non aveva solo lo scopo "pratico" che è stato citato sopra. Una tesi riconosciuta da molti storici spiega infatti come questo atto si sia imposto con la diffusione del culto di bacco e i banchetti rituali, uno degli esempi più forti di come la cultura greca abbia influenzato quella romana.
Nell'arte sacra, invece, il brindisi ha un carattere molto marginale (proprio per le motivazioni che ho spiegato in precedenza) e nei rari casi in cui è presente simboleggia il mistero Eucaristico o il matrimonio.


(Fotografia di Michele Mang, Artisti che brindano, fine XIX secolo)


Il brindisi come ci insegna l'antropologia culturale è da sempre, in alcune culture o presso alcune tribù, un modo per onorare la scomparsa dei defunti ma anche per celebrarne le prodezze e per consentir loro di continuare a vivere. Facendo riferimento a questo aspetto è possibile menzionare due tematiche importanti: la prima ci permette di ricordare i brindisi compiuti in antichità durante i banchetti rituali che si svolgevano per la morte di un individuo; in questo caso l'atto assumeva una funzione celebrativa.
La seconda tematica si realizza nella ritualità di alcune tribù in cui la polvere ottenuta dalla cremazione del defunto veniva utilizzata per produrre pane e, in altri casi mescolata con varie sostanze e bevuta durante dei "brindisi rituali" (ricordiamoci che queste pratiche non sono distanti, in linea temporale, da noi anche se non vengono più messe in atto).
In questa seconda casistica "bere il defunto" consentiva a quest'ultimo di continuare a vivere nei parenti e nei membri della propria comunità; possiamo quindi affermare che il brindisi, per la natura di ciò che veniva bevuto e il contesto, aveva un ruolo sciamanico.
Oltre ad assumere i significati che ho appena esposto in taluni casi assume il ruolo di suggellare patti, alleanze o intenti comuni. Un esempio di quanto affermato lo possiamo trovare nel film "La grande abbuffata" di Marco Ferreri (1973) in cui i protagonisti, quattro uomini appartenenti alla borghesia, stanchi della vita che conducono, decidono di rinchiudersi in una villa dal gusto decadente, proprietà di uno dei quattro, per mangiare fino alla morte. E' proprio in una delle prime scene del film, infatti, che di fronte ad una tavola ricolma di ostriche, suggellano il loro patto attraverso un brindisi con una bottiglia di champagne molto pregiata.
Ovviamente il brindisi è presente anche nella letteratura, due sono gli esempi che cito e che appartengono a due epoche assolutamente diverse. Un primo lo troviamo nei "Racconti di Cantebury" (prima edizione orig. 1387 - 1388) di Geoffry Chaucer: all'inizio della narrazione quando i protagonisti, prima del pellegrinaggio, si trovano alla taverna dell'Oste; il secondo invece, è presente a distanza di secoli, in "Mastro-don Gesualdo" (prima edizione orig. 1899) di Verga.


(Peder Severin Kroyer; Hip, Hip, Hurrah!, 1888, Goteborgs
Konstmuseum, Svezia)


Come non posso non concludere questo breve viaggio senza uno dei brindisi, credo, meglio conosciuti da tutti noi che, involontariamente, associamo proprio a questo periodo. Non avete capito?!

" Libiamo, libiamo ne' lieti calici,
  che la bellezza infiora;
  e la fuggevol' ora
  s' inebrii a voluttà.
  ( ...)"

Presente in quasi tutti i concerti del 1 gennaio, infatti, "Libiamo ne' lieti calici" è un celebre brindisi in tempo di valzer del primo atto scena II della "Traviata" di Giuseppe Verdi (cui si è celebrato proprio quest'anno il bicentenario della nascita).
E' uno degli episodi in cui si articola l'introduzione dell'opera ed è intonato da Violetta, Alfredo e dal coro di seconde parti (Flora, Gastone, il Barone, il Dottore, il Marchese).
Quanta storia, credenze e tradizioni in un gesto breve ma fortemente celebrativo!.           

Commenti

  1. quel quadro di Kroeger mi ha ricordato Renoir...uno degli artisti impressionisti che più amo!
    complimenti per il post è sempre un piacere leggere questo tipo di cose:)
    buon 2014!
    a presto
    Vale

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    Risposte
    1. Grazie mille Valentina! Si ci sono somiglianze con Renoir.. buon 2014 anche a te!
      A presto.

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  2. Bellissima lettura, grazie per il post ....... E "Libiamo" a questo 2014!!

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