Il cappone tra storia e tradizione.

Il cappone è uno dei simboli del Natale; che sia arrostito, bollito, ripieno oppure no, è contemporaneamente l'immagine dell'opulenza e della convivialità, della tradizione e del gusto. Nel pensiero della maggior parte delle persone d'oggi è di fatto la materializzazione di un mondo contadino quasi perduto in cui il gusto incontra i prodotti della terra o, per essere più precisi, si manifesta attraverso essi.
Un prodotto che, a dire il vero, non era presente solo durante il periodo natalizio. Nel mondo rurale infatti la fine del calendario agricolo coincideva con la festa di San Martino, in occasione della quale i contadini erano tenuti a pagare gli affitti dei terreni ma anche a conferire ai proprietari parte del raccolto oppure un numero concordato di animali tra cui il maiale (la cui prima macellazione avveniva, tempo permettendo, in occasione di tale festa) e i capponi. Questi ultimi venivano inoltre portati sulle mense dei nobili o degli affittuari anche per le festività natalizie. A tal proposito molti documenti possono attestare queste pratiche, un esempio su tutti ci può essere offerto dai registri contabili che Verdi compilava in modo meticoloso e su cui compaiono anche i capponi che gli spettavano annualmente.


Ma cos'è un cappone? E' un gallo castrato che raggiunge un notevole peso e morbidezza della carne. Viene allevato per circa 150 giorni , nutrito con una percentuale elevata di cereali fino ad un mese prima della macellazione,  successivamente con prodotti a base di latte. Viene anche protetto dalle intemperie. Tutti questi accorgimenti permettono all'animale di svilupparsi senza sforzo, mantenendo quindi straordinarie qualità organolettiche della carne; i prodotti di maggiore qualità inoltre sono quelli allevati a terra e alimentati solo con prodotti vegetali.
Ma questa squisitezza in passato non era solo la prerogativa di proprietari terrieri e nobili ( questi ultimi infatti specialmente durante il Medioevo ma anche nei periodi successivi prediligevano il nostro protagonista), ma anche il giusto compenso per medici, ecclesiastici o benefattori. Nei "Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni infatti, quando Renzo si reca dall'avvocato Azzeccagarbugli gli porta in dono quattro capponi vivi.
Esso però è presente fin dall'antichità; la castrazione infatti era una tecnica molto utile perché consentiva di avere più galli in uno stesso pollaio. Non solo, anche nell'antica Roma l'allevamento dei capponi nacque e si diffuse per sopperire ad un'esigenza pratica, ovvero quella di aggirare una legge che proibiva l'allevamento delle galline dentro casa.
Di certo però la sua presenza non si ferma qui, ma investì anche aspetti culturali e antropologici. Il brodo ottenuto dalla sua cottura infatti era considerato utile per i malati e per accrescere e rinvigorire l'eros; ce lo conferma tra i tanti Ulisse Aldrovandi, naturalista e medico bolognese della seconda metà del XVI secolo che nel suo trattato ribadisce l'importanza del brodo di cappone come nutrimento per i malati.
Un prodotto quindi non solo gustoso ma buono dal punto di vista culturale perché incastonato ancora oggi nelle tradizioni gastronomiche e agricole di molti territori del Nord e del Centro Italia ed espressione non solo di un determinato periodo dell'anno ma, in modo più ampio e completo, di un sistema alimentare che va necessariamente tutelato e salvaguardato perché espressione di storia, capacità e tradizione.

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